Percorsi biografico-musicali: O come… Orzo

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I viaggi mi piacciono davvero tanto, sono una delle cose che preferisco, e questo piccolo percorso biografico e musicale mi sta piacendo altrettanto.
Ma sapete una cosa?  Dopo un po’, quasi sempre per la verità, subentra un pizzico di nostalgia di casa. Vi spiace dunque se abbandoniamo per un momento il variegato e multisfaccettato ambiente musicale anglosassone e ce ne torniamo in Italia, alla mia vecchia, cara Firenze?
Prometto che vi riporterò presto su lidi più noti e meno “provinciali” ma, se vorrete seguirmi, vi mostrerò un piccolo spaccato di quotidianità e di musica che hanno lasciato la loro importante traccia nella mia esperienza.
D’altronde non è che non vi abbia abituato alle sorprese in questo percorso, giusto? Vatti a fidare di quei matti dei fiorentini!

O come… ORZO

Vi consiglio: Orzo, Fuoriorario
Tracklist: Mai / Favola Blues / Fuoriorario / Se un Angelo Sei
Etichetta: Autoprodotto
Anno: 2004

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Firenze è stupenda. Di notte poi assume un fascino particolare, con le luci che incastonano i suoi monumenti come diamanti nell’oscurità, col riflettersi e ripetersi delle loro forme sulla superficie dell’Arno. Una cornice perfetta in cui anche solo un banale e routinario sabato sera tra amici acquista una sua particolare bellezza. Specie quando il clima si mette bene (questa ad esempio è una delle stagioni migliori), alla regolare bevuta al pub poteva seguire spesso e volentieri la girata per il centro senza meta meglio precisata: Piazza della Signoria, in genere sotto alla Loggia de’Lanzi, i portici degli Uffizi, i Lungarni, Piazza Santa Croce, Ponte Vecchio e (più raramente) anche Piazza Pitti. Questi luoghi si trovano a un tiro di schioppo l’uno dall’altro, pertanto la passeggiata poteva conoscere diverse tappe oppure fermarsi in un posto qualunque a seconda dell’estro.

Fu durante una di queste peripezie che la mia compagnia di amici del liceo fece la scoperta di Orzo, all’anagrafe Claudio Spadi. La sua storia è di quelle che affascinano. Inizia a fare il musicista di strada giovanissimo e decide, per quanto possibile, di camparci. La sua strumentazione è ridotta all’essenziale, ma coi primi guadagni viene lentamente migliorata. Orzo però è un irregolare perché Firenze, in quel periodo, non riconosceva gli artisti di strada. Si trova pertanto a litigare e a discutere spesso con le forze dell’ordine, conduce una personale battaglia affinché il Comune riconosca gli artisti di strada e li regolarizzi in modo da animare il centro. Numerose e varie peripezie lo portano infine a vincere.
Il suo palco – e che palco! – diventa il Ponte Vecchio, proprio lì dove si apre sull’Arno. Molti passano, si fermano, magari restano fino alla fine; gettano spiccioli nella custodia della sua chitarra, scrivono qualcosa sul quaderno che Orzo lascia a disposizione per saluti, apprezzamenti, pensieri, frasi, per qualunque ricordo che il suo pubblico – più o meno occasionale – decida di lasciargli.

Il nostro si stava esibendo in uno dei suoi cavalli di battaglia, l’improvvisazione, quando lo ascoltammo per la prima volta: su un’aria arrangiata sul momento, il nostro tesseva la sua “buonasera”, una buonasera a qualunque cosa gli passasse per il capo, ma soprattutto a qualunque personaggio più o meno pittoresco, più o meno interessante che gli passasse davanti.[1] Come potrete facilmente immaginare io – che ero in piena fase da metallaro intransigente – finii seduta stante nel mirino di Orzo, che non si lasciò perdere un’occasione così ghiotta. La cosa ci divertì e decidemmo di tornarci il sabato sera successivo.

Progressivamente divenne un’abitudine: più o meno tardi, più o meno brilli, finivamo le nostre serate sul Ponte Vecchio in compagnia di Orzo. L’amicizia con Orzo divenne stretta: ci riconosceva, ci salutava, ci dedicava qualche brano o qualche “attenzione” durante le sue improvvisazioni.
Liberi di credere o no a quanto vi ho detto poco fa, i guadagni che giungevano alla spicciolata ogni sera nella custodia del nostro servivano a vivere, a dotarsi di una strumentazione sempre migliore, e in parte andavano tenuti da parte per registrare qualcosa. Già, perché l’intrattenimento sul Ponte Vecchio voleva cover, classici capaci di catturare immediatamente l’attenzione e l’interesse del pubblico, ma il nostro è un artista e come tale intento a creare qualcosa di proprio. Sporadicamente qualche pezzo faceva capolino in qualche serata, ma nulla di più. Poi, alla fine di ogni show Orzo ci diceva dei suoi progetti, nello specifico a me parlò spesso di alcune idee che aveva anche al di fuori del Ponte Vecchio.[2] Dopo averlo ritrovato in giro per Firenze a fare alcune foto per l’artwork del disco in uscita, capii che non doveva mancare poi molto alla pubblicazione.

Una sera finalmente il nostro espose sulla sua custodia le prime copie di Fuoriorario, un breve EP autoprodotto con quattro tracce originali. Registrato allo studio Larione 10 di Firenze, ultimato con missaggio e mastering al Fonoprint di Bologna, il disco era interamente firmato Claudio Spadi, affiancato negli arrangiamenti e nella produzione da Bruno Zucchetti. Un disco semplice, solare e assai orecchiabile, in scia con una certa tradizione di musica pop cantautoriale di marca italiana. Al centro delle tematiche si poteva cogliere la presenza costante di un simpatico personaggio calato in una realtà strana, che non comprende e che non lo comprende. Di qui le sue evasioni e i suoi sogni, le sue esperienze e le sue divertenti riflessioni sul suo quotidiano un po’ strampalato, un po’ poetico. In altre parole, un alter ego del nostro.

Un pizzico di groove e di funky completavano la ricetta in maniera accattivante: il primo brano, Mai, si muoveva perfettamente entro quest’amalgama aprendo così magistralmente le danze. Più lineare ed essenziale la successiva Favola Blues, per permettere un incedere più sicuro e deciso al disco nel far breccia nelle orecchie dell’ascoltatore più incline verso il pop. Sincopata e arricchita dagli ottoni, con la mitica title-track che rappresenta il vero apice dell’EP si tornava decisamente sul funky. La chiosa spettava invece a un brano struggente e commovente, Se un Angelo Sei, una dolce e malinconica ballad acustica che sa conquistare. Conquista così tanto che qualche turista, ammaliato dalle tenui impressioni sapientemente evocate da Orzo, ha deciso di usarla come colonna sonora per scorrere i ricordi delle sue gite in Toscana.

Dopo quanto vi ho raccontato, non penso sia necessario spiegare oltre cosa Orzo abbia rappresentato nella mia formazione personale e musicale. Nella magica notte fiorentina le sue interpretazioni di noti brani italiani o stranieri hanno avvolto l’aria tutt’intorno, hanno donato una colonna sonora non solo a passanti e a turisti, ma anche alle nostre risate, alle nostre chiacchiere, ai miei primi baci, alle mie solitudini, riflessioni e malinconie.
Inoltre allora stavo iniziando a prendere confidenza con la scrittura dei miei primi testi originali (banalità da adolescente, manco a dirlo), ma ancora non avevo un gruppo o della musica con cui esprimermi. Fu così che i miei amici decisero di dirlo a Orzo che mi chiamò a cantare con lui offrendomi, di fatto, il mio primo palco e le mie prime opportunità di suonare in pubblico. Lasciando perdere i risultati – che, come s’intuirà, furono penosi – fu un’esperienza bellissima per la quale ancora ringrazio.

Che siate fiorentini o forestieri, che lo abbiate già visto oppure no, se vi capita andate a cercarlo: negli ultimi tempi si giostra – insieme al chitarrista Luca Sciortino – tra Piazza della Repubblica, Ponte Vecchio e il suggestivo Piazzale Michelangelo dove ancora, confesso, non l’ho mai visto esibirsi. Ma posso solo immaginare quale suggestiva cornice sia una delle piazze più magiche della Firenze notturna incorniciata nei suoi accordi. Nella mia città i panorami, i palazzi, i luoghi, le strade, le loro ombre e le loro luci parlano bene già da soli. Ma, se vi lasciate trasportare dalla musica di Orzo, li sentirete anche vivere, raccontare, sognare e, sì, persino cantare.

doc. NEMO
@twitTagli

(Crediti foto di copertina: Jonathan Adami


[1]  Insomma, un vero e proprio fare versi alla fiorentina. Il tutto condito con qualche doppio senso, con qualche battuta sagace o con qualche piccola follia, rigorosamente in rima o quanto meno in assonanza, tanto che il nostro era altrimenti noto come “Il menestrello di Ponte Vecchio”.

[2] In quel periodo avevo iniziato a lavorare come stagionale al Mercato di San Lorenzo dove il nostro veniva, con i suoi spiccioli, a fare la spesa. Inutile dire che per il mio menestrello preferito avevo sempre un occhio di riguardo. Così, tra una battuta e l’altra, mi parlava spesso dei suoi pezzi in cantiere.

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