Quelli che andavano nella nostra direzione erano hindu e sikh. Quelli che arrivavano dalla direzione opposta erano musulmani. Lungo la strada vedemmo i cadaveri di molti sikh, i lunghi capelli sciolti, le facce barbute coperte di mosche. Superammo la frontiera indo-pakistana. Lungo la strada c’erano ancora più cadaveri. Dalla forma del pene capivo che erano musulmani. Tra i morti c’erano molte donne e bambini”.
(Kushwant Singh, Delhi)
Ad Amritsar al tramonto i taxisti e i guidatori di thuk thuk ronzano intorno agli alberghi in cerca di un buon affare: portare i turisti a vedere l’ammainabandiera a Wagah, sul confine Indo-Pakistano, a 30 chilometri scarsi da lì.
Dopo averne scansati alcuni, raggiungo il mio driver che mi aspetta fuori dall’hotel, con la stessa intenzione. Usciti da Amritsar si imbocca la Grand Trunk Road, leggendaria strada tra Kabul e Chittagong. Nel 1947, subito dopo la partizione, proprio qui, ai bordi della GT Road, c’erano pile di cadaveri di musulmani diretti in Pakistan e, appena oltre confine, pile di cadaveri di hindu e sikh in diretti in India.
Lahore, città non meno famosa della strada, dove sono cresciuti i figli dell’Imperatore Shah Jahan e anche Kim, il personaggio immaginario di Kipling, è per me completamente inaccessibile sebbene disti solo 40 chilometri: non ho il visto e, posto che riesca ad ottenerlo, non potrei più tornare in India a breve.
Arrivati al primo check-point cominciano a formarsi due file, le donne da un lato e i maschi – molto più numerosi – dall’altro. Il clima è teso, quasi eccitato, tanto che il manipolo di militari a cavallo fa fatica a tenere le file allineate.
Il secondo check point è quello della perquisizione, piuttosto approfondita: è vietato entrare con tabacchi, oggetti in pelle, accendini o fiammiferi, telefoni, e corpi contundenti, incluse le aste delle bandiere. Il driver ci aveva avvertiti e tutto quanto è al sicuro, in auto, al posteggio.
Gli stranieri possono ora defilarsi dagli indiani, perché in India uno straniero ha sempre diritto a qualcosa in più, soprattutto se paga in valuta forte. Dopo il metal detector ci fanno accomodare nei posti riservati, più larghi e con vista migliore sul tamasha che sta per incominciare.
La scena è semplicemente allucinante: sugli spalti della parte indiana molta gente balla al suono fortissimo degli altoparlanti che diffondono canzoni patriottiche e inni sull’Hindustan libero. Il lato pakistano è meno affollato perché è in corso il Ramadan, ma non meno rumoroso. Noto da entrambe le parti la presenza di bambini, ben curati e ben vestiti, che scrutano l’altra parte della frontiera: che siano stati portati qui per vedere con i loro occhi chi sono i cattivi?
La musica diminuisce, la cerimonia comincia: militari in alta uniforme – verosimilmente alla fine del servizio di frontiera – si muovono, a gruppi, al passo dell’oca seguendo gli ordini impartiti da un ufficiale, al microfono.
I cancelli vengono momentaneamente aperti e i due ufficiali più alti in grado si vanno incontro, a passo spedito, per stringersi la mano. Scoppia un applauso da entrambe le parti che copre le raffiche dei flash degli stranieri.
Poi, dopo un’ulteriore sfilata, un militare su ciascuno dei bastioni dei due portali di benvenuto ammaina la rispettiva bandiera. Ripartono le musiche nazionaliste, per la gioia dei presenti: si può tornare a casa, perché il confine è ormai chiuso per la notte e tutti, forse, possono sentirsi al sicuro.
Sono perplesso, quasi spaesato, ma questo può succedere spesso in India.
Poco dopo, ripercorrendo la strada per Amritsar, ripenso a come si è formato quel confine, voluto fortemente da Jinnah per dare un Paese ai musulmani d’India e contrastato da Gandhi che nonostante tutto insistette per versare al nuovo Pakistan quanto dovuto del tesoro nazionale. Tra gli effetti collaterali, la divisione del Punjab, un tempo un’unica regione in cui dominavano proprio Lahore e Amritsar.
Qui, nel 1984, i sikh d’India hanno provato a instaurare uno stato indipendente, il Khalistan, subendo la repressione al Golden Temple che ha portato come ritorsione all’assassinio di Indira Gandhi e ad un nuovo massacro di sikh in tutto il Paese.
I segni dell’intervento dell’esercito inglese dietro il Golden Temple nel 1919
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Incrocio gli occhi di una ragazza argentina, seduta dietro, perplessa quanto me, per il fatto che nessuno, meno che mai noi, potrà più attraversare la frontiera fino al mattino dopo.
Lì per lì, però, non mi viene da pensare a quanto sangue è stato versato intorno a quel lembo di Grand Trunk Road – come per esempio durante l’attentato all’unico treno giornaliero tra Delhi e Lahore nel 2007 sulla ferrovia che corre parallela.
Mi viene piuttosto da pensare che agli uomini sono stati donati i piedi proprio affinché possano attraversare le frontiere, purché non vengano chiuse per la notte dal cancello. “Lo consiglieresti ad un amico?”, chiedo. “Lo consiglierei ad un mio nemico”, risponde. Questo accade tutti i giorni, al valico di frontiera Indo-Pakistano di Wagah-Atari.
Jack O. Hearts
@twitTagli