Le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli. E quelle dei fratelli? Per la legge indiana a quanto pare sì. In India, infatti, due sorelle sono state condannate allo stupro collettivo pur non avendo commesso alcun reato.
L’arbitraria decisione è stata presa dal consiglio del villaggio di Baghpat, nel nord del paese, per punire la fuga del fratello delle ragazze con una donna sposata, appartenente ad una casta superiore.
In India, nonostante la suddivisione della popolazione in caste sia stata formalmente abolita con la Costituzione del 1950, la gerarchizzazione della società è molto sentita, soprattutto nelle campagne, e i matrimoni organizzati dalle famiglie senza tener conto della volontà degli sposi sono ancora una consuetudine.
La famiglia delle due ragazze condannate all’atroce pena appartiene alla casta più bassa, quella degli “Intoccabili” o fuori casta, tradizionalmente destinati a svolgere i lavori più umili. Ravi Kumari, il fratello maggiore delle giovani, aveva stretto però una relazione con una donna appartenente al gruppo etnico degli Jat, che fanno parte di una casta guerriera e nobile.
A febbraio 2015 la famiglia l’ha obbligata a sposarsi con un altro uomo, appartenente alla sua stessa casta, ma qualche mese dopo lei è fuggita con Ravi. Ora la famiglia Kumari teme ritorsioni anche contro la giovane donna che, precisa “the Mirror”, è incinta del suo amante.
Per “punire” Ravi le sue due sorelle, di 23 e 15 anni, sono state condannate ad essere violentate e a sfilare nude per le strade del villaggio, con il viso dipinto di nero. La sentenza avrebbe l’obiettivo di colpire la famiglia Kumari, disonorandola.
L’odioso verdetto, emesso da un consiglio composto unicamente da uomini, appartenenti alle classi sociali più alte e nessuno dei quali eletto, ha suscitato un’ondata di indignazione internazionale. Una petizione alla Corte Suprema lanciata da Amnesty International ha raccolto più di 26.000 firme per cercare di fermare l’esecuzione della sentenza.
Nel frattempo, le due ragazze sono fuggite per scappare alla loro sorte e si trovano a Delhi con il padre, dove hanno denunciato di aver subito molestie dalla polizia.
Dopo la fuga, nel villaggio la casa dei Kumari è stata saccheggiata dai vicini furiosi e Sumit, un altro fratello, ha dichiarato: “Nel consiglio tribale, la decisione degli Jat è definitiva. Non ci ascoltano. La polizia non ci ascolta. La polizia ha detto che ora chiunque può essere ucciso”.
Al di là del conflitto fra caste, una sentenza che prevede lo stupro non può che apparire inumana agli occhi di un paese occidentale, ma nell’India rurale la violenza sessuale è considerata una delle possibili punizioni che possono decretare i consigli dei villaggi.
Non bisogna dimenticare che la condanna è avvenuta in un paese in cui la violenza contro le donne è una vera e propria emergenza sociale: solo nel 2011 sono stati denunciati 26.000 casi di violenza sessuale in India.
“Gli uomini abusano delle donne in ogni società – ha scritto l’Hindustan Times in un editoriale – ma pochi maschi lo fanno con tale impunità, violenza e regolarità come i maschi indiani”. La Corte Suprema, in passato, si è già espressa contro questo tipo di condanne e il 18 agosto si è rivolta al governo dell’Uttar Pradesh per un pronunciamento sulla validità o meno della sentenza, che dovrà avvenire entro il 15 settembre.
Serena Avezza
@twitTagli