Occorre che anche io lo ammetta socraticamente: di Claudio Magris non avevo mai sentito parlare. Ho invece visto, e attraversato, forse un centinaio di frontiere in vita mia, la maggior parte on the road. In Ex-Jugoslavia sono andato la prima volta in tenerissima età, e per tanti motivi ho provato a capire quella faccenda, nei limiti a cui può arrivare un bambino di meno di 10 anni che vede muri di case forate dai proiettili.
Forse per questo, forse perché una prefazione ad un libro presa fuori contesto dice di meno, il testo proposto alla maturità mi è sembrato semplice, immediatamente fruibile, a tratti quasi insipido.
Come giustamente ha scritto Umberto Mangiardi su queste pagine, per figurare bene in un tema di maturità basta esprimere un concetto, possibilmente in italiano corretto e leggibile. Per raggiungere cotanto obiettivo non servono nozioni, piuttosto capacità di analisi, correlazione, ragionamento, comprensione, critica: tutto quello che in una parola potremmo definire cultura e di cui si avverte la carenza nelle giovani generazioni.
Trovo perciò che sia fondamentale abbozzare almeno un indice di quel “manuale di sociologia” di cui si parla per uscire dalla contingenza del momento e comprendere, a nostra volta, qualcosa in più su ciò che ci circonda. Due considerazioni a tal proposito.
Il primo dato fondamentale risiede nel fatto che le giovani generazioni – di insegnanti prima che di studenti – non sono state obbligate dalla storia a riflettere su questioni importanti di vita pubblica. I nostri genitori hanno passato epoche come il ’68 e gli anni di piombo e sono stati costretti a schierarsi da una parte o dall’altra attraverso una critica ed un sentimento di partecipazione. Noi, al massimo, l’abbiamo fatto su base volontaria, decidendo per esempio di scrivere su un blog come questo. La più logica conclusione di tutto ciò è che manca e ancora mancherà un trasferimento di questo spirito in coloro che ci succederanno.
Il secondo dato è il “modello di uomo” che la società moderna richiede e che la scuola forma. Nichi Vendola qualche tempo fa ha ben sintetizzato un concetto del tipo “un mondo del lavoro precario richiede una scuola dequalificata”. Niente di più vero: probabilmente ad alcuni profili sarà richiesta una capacità tecnica fuori dal comune, ma non sarà richiesta l’indipendenza del pensiero alla base della cultura che permette all’uomo il miglioramento e l’autorealizzazione allorquando esca dal suo ambiente tecnico. Cultura ed indipendenza che potrebbero realizzare l’individuo ma destabilizzare lo status quo del mercato globalizzato.
Socraticamente, ed indipendentemente, ammetto di non sapere molto altro e mi fermo, augurandomi che altri vadano avanti per il bene di tutti.
Tornando a Magris, l’analisi del pur banale testo offriva spunti in numero indefinito: aspetti interiori e psicologici, europeismo, guerra, immigrazione, caducità delle suddivisioni umane se rapportate al “piacere del mondo” che deriva dalla conoscenza del prossimo. Sugli autori potenzialmente citabili per un confronto, l’elenco potrebbe essere ben lungo.
Sarebbe stato sufficiente pensarci un attimo, senza lamentarsi, come s’è sentito dire, perché la traccia avrebbe mortificato gli sforzi di un anno di studenti e allievi impiegati e tritare e ritritare le solite nozioni sui vari “classici” novecenteschi. Capendo che cosa, sentite le impressioni dei più, non oso immaginare.
Jack O Hearts