«Mentr’ero di vedetta in cima al colle ho rivolto lo sguardo verso Birnam e m’è parso, d’un tratto, che si muovesse l’intera foresta…S’abbatta su di me la vostra collera, se non è vero: a tre miglia da qui, lo potrete vedere da voi stesso. Ho detto: una foresta che si muove».
William Shakespeare, Macbeth, ultimo atto
In questa “visione” sheakesperiana fortemente allegorica succede qualcosa di molto interessante: la foresta, che incredibilmente si anima fino a muovere minacciosamente verso lo sguardo della vedetta, è qualcosa che va oltre il compimento di un maleficio tutto diegetico; quello a cui in realtà assistiamo è la celebrazione (senza l’ausilio di montaggio e movimenti di macchina) dell’incontro tra la staticità-animata di una selva e il dinamismo dello sguardo.
Un urto che segna di fatto il debutto di uno dei più produttivi rapporti ossimorici dell’estetica moderna: quello tra la il cine-occhio che, attivo, vede e mostra, e il bosco che, saldo, cela e nasconde. Dall’appello lanciato dalla vedetta macbethiana – “venite a (non-) vedere (nel-) la foresta” – il cinema ha imparato a respirare, a meditare, nascondendo lo sguardo tra foglie e arbusti in movimento.
Ha imparato, cioè, a perdersi in quel bosco, da sempre considerato come un luogo cosmico antitetico all’habitat destinato agli uomini e, come tale, sede di «alterità».
Così, quando Coppola nell’incipit di Apocalypse Now sovrappone lo sguardo smarrito di Shenn alla foresta squarciata dal napalm, lo fa essenzialmente per “gettare ombra” sul viaggio-genesi del protagonista e per “doppiare” le volontà letterarie di uno scrittore come Conrad impegnato a proporre una visione delle selve delle isole tropicali come raffigurazione degli spazi della solitudine e della messa alla prova di se stessi.
Un po’ come quello che succede nel Cacciatore dove il bosco, teatro della battuta di caccia iniziale, non è semplicemente sede “positiva” del procacciamento del cibo, ma è l’anticipazione di un successivo passaggio nell’ignoto (ancora il Vietnam, ancora foreste), di un trapasso nel selvaggio dal civile, di un viaggio nel luogo dove sono confinati i morti divenuti «altri» rispetto ai vivi.
Non per niente, nel mondo classico l’ingresso dell’ Ade era solitamente circondato da un bosco, come ci ricorda il Virgilio della Selva Oscura dantesca.
Un trapasso “boschivo” che troviamo anche in film come Platoon, Un tranquillo weekend di paura e, seppur in misura minora, in opere come l’Ultimo dei Moicani, Il Gladiatore o in Rambo.
Nella Rabbia Giovane di Malick, invece, questo guado diventa essenzialmente voglia di fuggire dalla realtà, e il rifugio nella boscaglia dei due latitanti si trasforma in una breve illusoria parentesi di “idillio pastorale” (Non truovo tra gli affanni altro ricovero / che di sedermi solo appiè d’un acero..) da contrapporre visivamente alle distese aride delle badlands del South Dakota: l’occhio della macchina da presa trova temporaneamente riposo nella semioscurità della vegetazione consapevole di andare incontro all’accecamento.
La foresta gotica di Sleepy Hollow di Tim Burton è chiaramente riconducibile, nel pieno rispetto della affabulante poetica dell’autore, alle foreste misteriose presenti nella letteratura fiabesca europea (vedi la saga del Signore degli Anelli); un groviglio inquietante di arbusti e nebbia mirabilmente riproposto, in chiave autoreferenziale, anche nella fiaba Big Fish. Diversa invece la matrice per lo sfondo vegetale delle avventure di Indiana Jones (o per quello degli orsetti di Guerre stellari, o per quello di Hook ecc..) dove, le inquietanti suggestioni fiabesche lasciano il posto alla mera e spettacolare riproposizione, in salsa cinematografica, del mondo in carta pesta dei parchi del divertimento disneyani (o all’autoctono mondo Terra di Garda, è uguale).
Comunque, qualunque sia il rapporto tra cinema e boschi, possiamo serenamente concludere questa passeggiata bucolica tra alberelli e pellicole, coscienti del fatto – Macbeth docet – di “Non temere fintanto che non vedrai avanzare la foresta di Birnam verso Dursinane…” Ed ora una foresta si muove veramente verso Dunsinane!
Mimmo Carretta