One, two, three! Tre nuovi dischi da non perdere: Mogwai, James Blake, Alice in Chains

Tra piacevoli debutti e conferme, artisti affermati e rivelazioni, periodicamente Tagli selezionerà per voi tre nuovi dischi che non potete perdervi. Lontani dal mainstream e senza barriere di genere, tra rock ed elettronica, post-rock e folk, modern classical e indie-pop, heavy metal e cantautoriato.

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Mogwai – Les Revenants

I maestri del post-rock, i Mogwai, rilasciano un disco che è in realtà una colonna sonora composta per la serie televisiva francese Les Revenants. Lo metti su, ti siedi in poltrona e un’atmosfera eterea ti avvolge fin dal primo pezzo. Il sound è elegante e raffinato: chitarre, drumming, archi e synth (e spesso pianoforte) godono tutti della stessa importanza nel creare una miscela ammaliante. Non c’è traccia di quei chiaroscuri e di quelle improvvise esplosioni tipicamente post-rock cui i Mogwai ci hanno abituato negli anni. Qui resta tutto più continuo ed incorporeo, più essenziale, ma il risultato è altrettanto emozionante. In bilico tra malinconia e oscurità, la delicatezza dei brani, tutti strumentali ad eccezione della splendida What Are They Doing In Heaven Today?, rimanda a mondi lontani nello spazio e nel tempo. Quando una band è capace di scrivere musica di tale bellezza pur mutando il proprio abituale linguaggio, allora non resta che rilassarsi, chiudere gli occhi e sognare.

La perla del disco: Portugal

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James Blake – Overgrown

Alfiere del soul-step e autentico ragazzo prodigio che ha stupito il mondo con il disco d’esordio del 2011, James Blake, dopo l’Ep Enough Thunder, si presenta alla seconda prova su Lp con la sicurezza di un veterano, ma ancora una volta stupendo e sfoderando un autentico capolavoro. Uno di quei dischi che entrano sul vostro iPod e non ne escono più. Al giovane artista inglese bastano quasi sempre un synth e un beat come base su cui la sua incantevole voce è libera di modularsi per trasmettere incredibili sensazioni: è l’unione perfetta di post-dubstep e cantautorato. Il sound è minimale, le basi elettroniche rimangono sommerse, spesso sono i riverberi a svolgere gran parte del lavoro d’amalgama, mentre è la voce a farla da padrona, vero perno di ciascuna composizione. Blake riesce a dipingere con pennellate esili ed eleganti un mondo sommerso e affascinante, autentica proiezione della sua complessa intimità. Ascoltate questo disco, senza preclusioni di genere. Non ve ne pentirete. Avrete nelle orecchie il suono del futuro.

La perla del disco: difficile sceglierne una sola, ma Life Round Here è splendida. 

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Alice in Chains – The Devil Put Dinosaurs Here

I tempi di Layne Staley sono ormai lontani, ma il nuovo corso degli Alice in Chains, uno dei gruppi di punta di quella patria del grunge che era Seattle degli anni Novanta, mi sta convincendo parecchio. Già l’album del ritorno Black gives way to blue (2009) non mi era dispiaciuto, ma questo nuovo disco è decisamente superiore. Jerry Cantrell confeziona melodie acide e riff belli pesanti e anche la voce di William DuVall, pur senza far miracoli e pur rimanendo all’interno degli stilemi classici del grunge, contribuisce a creare tuttavia un suono monolitico e cupo, non lontano da certo metal. In evidenza l’attitudine doom della band, capace di creare quel senso di claustrofobia tipico del genere. E poi c’è il songwriting, sufficientemente ispirato per gran parte del disco, a volte non del tutto estraneo a qualche ammiccamento mainstream, ma decisamente sopra la media in alcuni episodi: le prime tre tracce del disco sono davvero da applausi. Una bella conferma per una band che ha scritto pagine importanti in passato, ma che ha ancora qualcosa da dire.

La perla del disco: Stone

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