
Dal momento che, a quanto pare, non vi sta dispiacendo fare avanti e indietro con me in questo percorso biografico e musicale, ancora una volta facciamo un salto temporale e spaziale: dagli Stati Uniti alla vecchia Inghilterra, dalla contemporaneità ai mitici anni ’70. Ancora una volta questo salto coincide col recupero di qualche grande nome della storia del rock e di qualche suo impareggiabile classico.
Ma questa volta, prima di avventurarci in un nuovo capitolo, devo fare una dedica speciale, che forse avrei dovuto fare molto tempo prima: dopo aver rimarcato il debito che ho nei confronti del mio babbo in (per ora) due note biografico – musicali, mi pare doveroso dedicargli proprio questa. Perché i grazie non bastano per tutto quello che ho avuto dalla musica che mi ha fatto scoprire.
Quindi questa è per te, babbo, da un figlio mai abbastanza riconoscente.
L come… LED ZEPPELIN
Vi consiglio: Led Zeppelin, Led Zeppelin III
Tracklist: Immigrant Song / Friends / Celebration Day / Since I’ve Been Loving You / Out On the Tiles / Gallows Pole / Tangerine / That’s the Way / Bron-Y-Aur Stomp / Hats Off to (Roy) Harper
Etichetta: Atlantic Records
Anno: 1970 (digitally remastered, 2001)
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Nella mia infanzia, come vi ho già raccontato, uno dei luoghi privilegiati per le mie esperienze musicali era il sedile posteriore della Ford Mondeo del babbo.
Dei tanti nastri che l’autoradio si mangiava lungo i vari viaggi e scampagnate, ce n’era uno in particolare che mi ha regalato diverse suggestioni: la compilation Rock Legends, primo numero della collana I Miti Del Rock Live, uscita per la Fabbri Editori nel 1993. Ero allora poco più che un ragazzino che veleggiava, inconsapevole, tra le note del grande rock che ha fatto la storia quando iniziai a sbozzare i miei primi gusti musicali.
Il babbo ovviamente ci metteva del suo per appassionare me e mia sorella ad almeno qualcuno dei tanti artisti che ci proponeva. In particolare ricordo che, salvo i Beatles (di cui ero già da tempo immemore infatuato), fu proprio nella collezione Rock Legends che trovai un altro dei miei amori musicali infantili.
A mia sorella, ad esempio, piaceva un sacco Smoke On the Water dei mitici Deep Purple, in particolar modo l’attacco – e come darle torto?
A me invece piaceva un pezzo dall’atmosfera e dall’esecuzione primordiale e selvaggia, un pezzo di cui adoravo lo stacco vocale in lenta e inesorabile progressione verso un urlo liberatorio. Accendeva inoltre la mia fantasia e la mia immaginazione quel titolo, Black Dog, di cui il babbo rimarcava sempre la traduzione. Quasi a sottolineare quanto ci fosse di animalesco e di primitivo in quell’esecuzione live.
Lì nacque il mio amore per i Led Zeppelin.
Il live immortalato nella compilation Rock Legends era tratto dal tour giapponese degli Zeppelin, nello specifico dalla data del 2 ottobre 1972 al Budokan di Tokyo. Allora i nostri quattro rockers britannici erano diventati «molto semplicemente, il più grande, eclatante, esuberante, arrogante e prepotente gruppo rock del mondo». [1]
Da poco avevano dato alle stampe quello che è stato uno dei loro album di maggior successo. Un album senza titolo e senza alcuna indicazione sulla copertina, oramai noto come Led Zeppelin IV. Una scelta audace per i tempi, ma che dà la cifra del grado di sicurezza e di personalità che i nostri avevano allora. Black Dog, singolo di lancio, è probabilmente la sublimazione migliore di uno stile, di una sigla, di un concetto, «del rock più robusto e più duro. Hard Rock appunto». [2]
Come accadde con Hendrix, fu un biglietto di sola andata. E, allo stesso modo, rientrò tra le numerose reminescenze degli anni del liceo quando, con maggiore cognizione di causa, recuperai tutta quella mole di classici del rock di cui mi ero nutrito per tanto tempo senza saperlo.
Riscoprire i Led Zeppelin in quel coacervo confuso di ascolti infantili fu un evento che mi fece riflettere su quanto il mio approdo all’heavy metal fosse stato tutt’altro che casuale e fortuito.
Lanciato in questo recupero, passai per tutti i classici del caso ma senza avere nella collezione personale uno solo dei loro titoli. Finché, durante un Natale di cui non ricordo bene la data, il babbo mi fece trovare sotto l’albero uno dei loro album: Led Zeppelin III.
In particolare, Jimmy Page e Robert Plant decisero di ritirarsi in un cottage sperduto nel Galles, Bron-Yr-Aur.

Il lavoro di incisione e mixaggio comincerà a Londra tra giugno e luglio, con il prezioso contributo del sound engineer Andy Johns. Mixaggio e mastering finale saranno completati negli Stati Uniti tra agosto e settembre.[3]
Led Zeppelin III è un disco che, nonostante la fredda accoglienza ricevuta, riscosse un buon successo ed è tutt’ora considerato una tappa fondamentale nella produzione della band. Qui si hanno di fatto importanti sementi che troveranno la loro fioritura nel già citato Led Zeppelin IV, capolavoro indiscusso dei nostri e pietra miliare del rock, dove gli elementi folk e acustici convergeranno – in un fantastico e inarrivabile equilibrio – con quelli blues e rock dei precedenti lavori.
Pensare a un disco del genere negli anni ’70 fu certo assai lungimirante anche se rischioso per una band che stava dando una svolta epocale al rock. Chi avrebbe mai potuto pensare a una simile e brusca virata in termini di sound proprio allora che le cose stavano girando per il verso giusto? Solo i Led Zeppelin.
Nella mia personale vicenda è stato un album che mi ha permesso di rompere molti preconcetti, aprendo la mente su un più vasto panorama musicale che deliberatamente ignoravo. Gli istinti e le corde primordiali che gli Zeppelin avevano saputo a suo tempo toccare si dimostrarono perfettamente capaci di convivere con istinti e corde di tutt’altra natura.
Una convivenza che la mia cecità da intransigente dell’asse metal-punk-rock difficilmente avrebbe colto altrimenti.
La magia dei Led Zeppelin sta soprattutto in questo: riuscire a equilibrare anime e componenti diverse, dando corpo a un hard rock personale, vivido, dinamico e multisfaccettato che solo oggi consideriamo classico. Uno stile che, coniugando i patrimoni del blues, del folk e del rock in una forma più pesante, avrebbe influenzato generazioni di musicisti.
Anche per questo sono un gruppo che ha fatto la storia del genere e che è destinato a restarvi da protagonista indiscusso.
Mio babbo forse lo sapeva, allora, che il testimone che mi stava passando era importante. In quel tempo avevo solo intuito la magia, ma pare fosse destino che dovessi anche capirla presto o tardi.
È un testimone pesante: quelli della mia generazione hanno un compito, e cioè a loro volta confezionarlo e passarlo adeguatamente alle generazioni successive.
doc. NEMO
@twitTagli