Alexi Laiho non c’è più.
Forse è un bene che la maggior parte degli italiani non sappia chi sia stato, almeno i coccodrilli sui giornali si limitano a poche, essenziali informazioni biografiche; almeno chi non lo ha mai ascoltato evita di esprimere cordoglio ipocrita, come va di moda in questi casi.
Almeno la sua immagine di “bimbo selvaggio” (Wild Child, questo era il suo soprannome) non verrà sporcata agli occhi dei metallari hardcore – puristi per natura.
Alexi Laiho cantava la morte. Il tristo mietitore sulle copertine di tutti i dischi dei Children of Bodom, il gruppo di cui Alexi è stato chitarrista e cantante per 22 anni, era stato soprannominato Roy.
Il nome della band, un omaggio a un macabro caso di cronaca nera avvenuto negli anni ’60 in Finlandia e mai del tutto chiarito; i testi, oscuri e macabri; i soggetti, sempre quelli: autolesionismo, odio, rabbia, omicidio, suicidio.
Eppure nella musica dei Children of Bodom c’era gioia. Alexi Laiho ha reinventato il Death Metal, portando al suo interno la musica classica (come nel riff della canzone Black Widow, preso in prestito dal concerto per pianoforte e orchestra Kv. 466 di Mozart). Ha portato il contrappunto all’interno di un genere che prima era fatto solo di violenza. Ha reso la violenza bella da ascoltare.
Il Death Metal, anche quello melodico, non è un genere per tutti; quelle urla belluine ti graffiano i timpani, all’inizio. Bisogna farci l’abitudine, prima di riuscire a farselo piacere.
Ma il fatto che sia un genere estremo non lo rende per persone estreme. Si canta la morte anche per esorcizzarla, si canta la rabbia per darsi la carica, si canta la depressione per combatterla meglio.
Il Death Metal parla di persone, non di mostri, e lo scream e il growl servono solo a ricordarci il potere liberatorio della musica, quando è potente.
Alexi Laiho era un virtuoso.
È stato considerato uno dei 100 migliori chitarristi al mondo, e uno dei più veloci.
Alcuni brani dei Children of Bodom sono stati anche inclusi nei videogiochi “Guitar Hero 5” e “Guitar Hero: Warriors of Rock”.
Alexi Laiho rispettava la morte, seppure subendone la fascinazione artistica. Non aveva problemi di droga noti al pubblico, e aveva abbandonato la bottiglia nel 2013.
Forse la morte ha interpretato male le troppe canzoni dedicatele, e se l’è portato via a soli 41 anni; forse il 2020 non poteva finire senza un altro tributo di sangue: fatto sta che Alexi Laiho si è spento in uno degli ultimi giorni di dicembre, lasciandoci solo un amarissimo retrogusto di lacrime e whisky.
Ha seguito il mietitore, come recita il titolo dell’album più famoso dei Children of Bodom, “Follow the Reaper”, uscito nel 2000.
Dicono che il Metal sia la musica del diavolo, e infatti il gesto universale con cui i metallari si identificano è quello delle “corna”, fatte con l’indice e il mignolo (di una o di entrambe le mani); sicuramente i testi e la musica dei Children of Bodom sono difficili da immaginare in mezzo ai cori dei serafini e dei cherubini.
Gli angeli dovranno imparare a suonare la morte da qualcun altro.
Luca Romano