Szaztagú Cinanyzenekar
La sera del 30 gennaio, per un caso fortuito, seduta nella poltroncina n. 16, della ventesima fila (insomma, più centrale di così non si poteva) della Philarmonie di Lussemburgo, ho assistito in buona compagnia ad un evento eccezionale: un concerto della Budapest Gypsy Symphony Orchestra.
In altre parole, ho incontrato per la prima volta dal vivo, e nell’unica data possibile in città, “Les 100 violons tziganes”(“Hundred Gypsy Violins”). Per due ore e mezza ho dimenticato “il mondo fuori”, lasciandomi trasportare, tra gli altri, dall’Orpheus in the Underworld (forse più famoso come “cancan”), dall’Hungarian dance n. 5 di Brahms (conosciutissima, anche se il nome dice poco), dal Valzer dei fiori di Tchaikovski, da una danza di zorba suonata con i cembali ungheresi (strumento a corde battute o pizzicate), il tutto, sapientemente mescolato alle musiche tradizionali, ammirando un’orchestra fuori dalle righe, con una propria divisa (abbandonata nel secondo tempo), senza spartiti, priva di formalismi, munita di cellulare per autofotografarsi, dedita all’improvvisazione e dal repertorio variegato.
La serata si è conclusa con un gran finale, inutile dirlo, non previsto in scaletta, sulle note de La vie en rose, e con una standing ovation da ultimo minuto, tipica dell’aplomb dei lussemburghesi di nascita e acquisiti (che tendono a non mostrare le loro emozioni, ma non possono esimersi dal farlo di fronte all’evidenza), i quali, in piedi e pronti ad andarsene, sono di fatto rimasti “sur place” ed hanno continuato ad applaudire. Applausi di approvazione, applausi di compiacimento, applausi di ringraziamento, per quei 100 musicisti, che hanno saputo esprimere e trasmettere, in brevissimo tempo, la loro gioia e il loro divertimento nel suonare, ma soprattutto nel suonare insieme, guidati da un maestro diverso per ogni brano, e solo in qualche occasione dal Direttore artistico, Sándor Rigó Buffó. L’effetto sorpresa misto all’esecuzione hanno reso questa serata magica e, probabilmente, rendono ogni spettacolo unico.
Come al solito, prima di ogni concerto, mi sono informata un po’. L’orchestra mi era sconosciuta fino a poche settimane fa (ignoranza mia!), perciò quando ho visto la pubblicità ad una fermata del bus che prendo ugni mattina per andare a lavoro, è stata più la curiosità che altro ad attirare la mia attenzione. Avendo la fortuna di lavorare in un ambiente internazionale, ho capito subito che si trattava di un avvenimento da non perdere, così mi sono decisa a comprare il biglietto. Nei giorni seguenti, ho dedicato un po’ di tempo all’ascolto di qualche brano su youtube, e a qualche lettura, e ben presto, il desiderio di sedermi su quella poltroncina n. 16 è aumentato in maniera esponenziale, caricandosi di aspettative, fino al conto alla rovescia.
Ho scoperto nel frattempo che la Budapest Gypsy Symphony Orchestra è la più grande orchestra sinfonica al mondo composta da gitani. È stata fondata nel 1985, anno della morte di Sándor Jároká, all’epoca, il più famoso solista gitano. La storia vuole che il giorno del suo funerale, tutti i musicisti gitani ungheresi si siano presentati muniti dei loro strumenti e, dopo la cerimonia, si siano messi a suonare insieme, in maniera improvvisata. Oggi l’orchestra conta 60 violini, 9 viole, 6 violoncelli, 10 contrabbassi e 9 clarinetti e 6 cembali, e suona in moltissimi paesi, non solo europei. Unica nota dolente: visitando il sito ufficiale (www.100violins.com), mi sono resa conto che dal 2005 a oggi sono venuti in Italia solo tre volte (Trieste, Gubbio e Gorizia), quattro, contando una partecipazione su una nave da crociera in partenza da Venezia. Personalmente, trovo inconcepibile che un’orchestra di fama mondiale sia semisconosciuta in Italia, quasi assurdo che 100 musicisti che si spostano in bus in lungo e in largo e suonano in città “piccole” come Montpellier (senza nulla togliere a questa città francese che mi ha ospitato per 5 mesi) non siano ancora venuti a Torino, patria, tra l’altro, di (MITO) Settembre Musica.
Ho scritto di getto, trasportata da emozioni appena vissute, forse tralasciando dettagli che ad altri sono o sarebbero rimasti più impressi (e altre informazioni facilmente reperibili), semplicemente con l’intenzione di trasmettere ciò che ho provato, con la convinzione che le cose belle vadano condivise e che tutto ciò che di straordinario si scopre oltrefrontiera andrebbe portato in Italia.
Paola Finotello