“La macchina” e “L’aumento”: a Bergamo in scena due esempi di opera lirica contemporanea

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Il 30 ottobre di quest’anno, al Teatro Sociale di Bergamo, sono state rappresentate due opere contemporanee. Tale iniziativa riguarda il “Teatro delle Novità”, rassegna interna alla Stagione Lirica 2013.
Le due opere rappresentate sono state, nell’ordine, La macchina di Raffaele Grimaldi e L’aumento (titolo completo: L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento) di Vittorio Montalti (foto in basso).
Entrambe le opere sono state commissionate dalla Biennale di Venezia di quest’anno.

 

Lo ammetto: sono partito un pochino prevenuto riguardo a questo evento. Non perché la musica contemporanea non mi piaccia; è la sua pretesa di essere moderna che non mi piace. Bisogna infatti mettere in chiaro una cosa: nessuno dei due compositori ha fatto qualcosa di pionieristico.
La musica che i musicologi chiamano “contemporanea” esiste da più di mezzo secolo, e se esiste da più di mezzo secolo non è pioneristica. Ciò detto, comunque, andiamo a vedere cosa c’è stato di valido e cosa di meno valido in questa serata.

 

Il primo spettacolo, La macchina, parla di un compositore di musica contemporanea affetto da sindrome bipolare. Una psicologa e la sua assistente cercano di curare con una macchina miracolosa, e mi ha fatto due p… ehm.. l’ho trovato un po’ tanto noioso.
Non ho molto da dire a riguardo. Uno arriva in una foresta che in realtà è lo studio di una psicologa, incontra la sua assistente, lo mettono dentro una macchina, dalla macchina esce un tizio vestito da donna. Tutti cantano strano. Fine dello spettacolo.

 

Invece il secondo spettacolo, L’aumento, l’ho trovato molto carino. Tratto da un lavoro di Georges Perec, racconta la storia di un impiegato che cerca di ottenere un aumento dal suo capo.
Il povero protagonista (che ovviamente fallisce miseramente nel suo intento) si muove attraverso un vortice di situazioni ben rappresentato non solo dalla musica ma anche dalla regia di Giancarlo Cauteruccio (autore delle regie di entrambi gli spettacoli), che “crea” la scena grazie a una serie di proiezioni: con essa i personaggi interagiscono (la porta dell’ufficio del capo che continua a spostarsi mentre l’impiegato prova a bussare, i numeri che lo travolgono eccetera).
È uno spettacolo che comunica qualcosa. Lo stile adottato non è casuale,e può portare anche a momenti musicali piacevoli (tipo l’aria della sexy-segretaria davanti al ritratto del capoufficio).
L’uso “esteso” della voce non si riduce ad un semplice “cantare strano”, come nel caso precedente. È anzi funzionale a trasformare il modo di fare dei personaggi drammatizzandoli o caricando le loro sfumature (penso alla prima scena del capoufficio, che borbotta qualcosa sul fatto di essere il capo spipettando un sigaro).

 

vittorio Montalti

 

So che l’associazione di idee può apparire bislacca, ma mi ha fatto pensare ai vecchi cartoni di Paperino. Quelli che tra pantomime e grammelot scavavano nella mente dell’uomo medio alle prese con le difficoltà quotidiane.
Roba di cinquant’anni fa e forse più anche quella (pare che l’Opera abbia l’abitudine di consideri moderne cose che per altre forme di espressione sono ottuagenarie), ma poco importa.
Che un autore si rifaccia alla tradizione appena passata è normale. La differenza è che Montalti capisce questa tradizione e la riprende con cognizione di causa, mentre ho l’impressione Grimaldi si limiti a scimmiottarla.

 

Devo aggiungere comunque che L’aumento l’ho trovato troppo lento, nel senso che ogni scena dura troppo. E senza motivo. L’autore sembra quasi chiedere allo spettatore di soffermarsi sul materiale che propone per comprenderlo a fondo, ma finisce per sciuparlo.
Anche perché non è che ci sia molto su cui soffermarsi, anche considerato il soggetto (disavventure da ufficio) non proprio originale.
A parte questa pecca, però, ho visto uno spettacolo gustoso: sono uscito dal teatro con la voglia di vedere la prossima opera di questo compositore.

 

F.V.

@twitTagli

 

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