Sospetto che vi sia una aspettativa carnale, e niente di più, nel voyeurismo televisivo ma soprattutto telematico che ha accompagnato l’ennesima strage, quella di sabato a Brindisi.
Un desiderio (nel senso più impulsivo del termine) che ha spinto editor diversi, su media diversi, a fare le seguenti cose: copiare dal profilo facebook della vittima le foto, ricercare i video di lei bambina, pubblicare il tutto su canali istituzionali (vedi il sito di Tgcom, la cui operazione è stata efficacemente definita da Luca Bottura, su Radio Capital, “stupro della memoria”) e non, soprattutto creare una marea – una marea! – di diapositive in cui la morta era trascinata per i capelli.
Un’elencazione è talmente parossistica da risultare incredibile, in un climax grottesco: lei, lei in mezzo a rose aggiunte con Photoshop, lei e Simoncelli (!), il volto di lei infilato con Photoshop nelle mani di un’icona di Cristo.
Vi prego di credermi anche senza i link.
Niente mi toglie dalla testa che ci sia una matrice sessuale, più o meno latente, più o meno esplicita, in questa proposizione ossessiva di un ovale infantile ma in via di maturazione, angelico eppure teen, con tutto quello che le categorie pornografiche hanno insegnato a una generazione di adolescenti cresciuti con i siti erotici dal libero accesso.
Ed è indecorosa sia quando viene messa in atto grazie all’ignoranza (le foto sinceramente commemorative), sia quando viene riproposta con intenti parodistici, satirici, citando gli ignoranti per ridere di loro.
La foto della morta è la foto della morta, tanto qui quanto lì; la foto della strage è la foto della strage, tanto qui quanto lì.
Mi sono permesso; spero si capisca che l’ho fatto con onestà.
Non ho citato il nome della vittima, né pubblicato alcuna foto sua o del luogo della strage. Perché, almeno qui, non ne abbiamo bisogno.