Dove cresce la palma, una storia cubana

Era il gennaio del 1998, quando Giovanni Paolo II, non appena giunto all’Avana, disse: “Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba”. Dev’essere stata simile la fascinazione che il giovane autore giavensese Luca Vincenzo Calcagno ha provato quando ha visitato l’isola cubana per la prima volta. Tanta da portarlo a scrivere, qualche anno dopo, “Dove cresce la pama” (Echos Edizioni), un omaggio sincero ed autentico all’isola, al suo popolo e alle sue molteplici sfaccettature.  Il romanzo è una storia acuta, che coglie uno spaccato umano di grande limpidezza, raccontanto senza filtro. L’autore è in grado di ribaltare quelle mezze verità che conosciamo, o pensiamo di conoscere, per dargli nuova luce. Parlando con Calcagno abbiamo scoperto tante cose su questo libro, ma anche sul suo autore e sui temi a lui più cari: la nostalgia, la passione per la letteratura e la continua lotta tra l’essere e l’avere.

                                                                                             

Il romanzo, sia nel linguaggio che nelle descrizioni, è fortemente realistico. Come mai questa scelta?

Dal momento che non mi piace immaginare ho preferito raccontare i luoghi esattamente per come li ho vissuti e per le emozioni che mi hanno suscitato. Nasce tutto dalla volontà di rendere la storia il più possibile vicina alla realtà.

Per questo hai deciso di scrivere molti dialoghi in spagnolo?

Si, l’intento era quello di creare un mimetismo con Paolo, il protagonista, che non capisce lo spagnolo: volevo rendere lo stesso senso di disorientamento nel lettore. Per farlo mi sono ispirato ad autori come Cormac McCarthy, che nella Triologia della Frontiera, mescola dialoghi in spangolo a quelli in inglese. Inoltre lo spagnolo rende meglio i “colori” del luogo e riesce a dare giustizia al gergo locale.

I protagonisti, Paolo e suo zio Roberto, sono i due poli opposti sia caratterialmente, che nel modo di vivere il viaggio a Cuba. Da dove nascono questi due personaggi?

Roberto è il classico turista che conosce bene Cuba e sceglie quella meta per un intento puramente “ricerativo”. Il suo sitle di vita nell’isola è in netta contrapposizione alla vita mediocre e gretta che conduce a casa: è un personaggio nato sulla base dei classici luoghi comuni. Paolo, che non voleva nemmeno essere lì, non conosce il luogo, la lingua e la cultura ed è una tabula rasa tutta da scrivere. Durante il viaggio cerca di risolvere alcuni nodi interiori, ma in realtà Cuba crea in lui ulteriori confilitti. La contrapposizione tra i due personaggi è il cuore pulsante del libro, l’eterna lotta tra l’essere e l’avere.

Il tuo libro parla anche di una storia d’amore, quella tra Paolo e Adis, una donna molto diversa dal comune. Come la descriveresti?

In realtà il mio intento non era quello di descrivere una donna “forte”, anzi è un personaggio ricco di contraddizioni. In lei c’è la continua lotta tra il desiderio di riscattarsi dalla sua posizione sociale e l’attrazione che prova verso Paolo, tra la ragione e i sentimenti. Volevo rendere al meglio la complessità del personaggio che è simile alla realtà cubana: mai lineare.

Nel libro è chiaro il tuo intento di rendere omaggio alle ambientazioni e agli usi locali. C’è qualcosa che ti ha colpito su tutto?

Sicuramente il carnevale ha rappresentato un momento di vera allegria. C’era ovunque un caos gioioso in cui si veniva immersa che và al di là di ciò che si può vivere in Italia. Volevo proprio trasmettere quel senso di leggerezza che hanno nell’affrontare i problemi.

Cuba ha anche un legame con Giaveno, il tuo paese natale.

Si il legame nasce dalla figura di Dino Pogolotti, che nel novecento ha costruito il barrio obrero a L’Avana. Inoltre sua nipote, sul Granma (ndr giornale cubano) ha citato Giaveno a più riprese, ricordando un suo vecchio viaggio.

Per chiudere, cosa puoi dire che ti abbia lasciato Cuba?

La cubanite, quella nostalgia senza tempo verso un posto magico. Fino ad ora è il viaggio più importante che abbia mai fatto, anche perchè sono uscito dalla mia zona di confort partendo con persone che non conoscevo. Senza dubbio, come dicevo, mi è piaciuta moltissimo la loro leggerezza: non hanno niente e sembrano sempre felici. Ma anche il colore del cielo, che sembra realmente più azzurro di quello di qualsiasi altro posto che abbia mai visto.

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