Ieri sera ho condotto su Primaradio Piemonte un’altra puntata di Simply Europe, un settimanale dedicato alla cultura e all’attualità europea.
Assieme al mio fido compagno di avventura Roby Valle abbiamo intervistato il professor Younis Tawfik, un intellettuale iracheno rifugiatosi in Italia sin dal 1979.
Tawfik è docente di lingua e letteratura araba all’Università di Genova, è poeta e scrittore, e dirige il Centro culturale italo-arabo Dar al-Hikma. Prima di ieri sera non lo conoscevo, ma ero un po’ intimorito: avevo deciso di fargli un paio di domande dure, e non sapevo come avrebbe reagito.
Professor Tawfik, come si vive da musulmano questo momento?
Certamente con difficoltà, anche perché i soliti falchi approfittano di una situazione così tragica per attaccare l’Islam, denigrare i musulmani, guidare manifestazioni di odio.
Poco fa a Torino c’è stata una manifestazione di Magdi Allam che ne diceva di tutti i colori contro l’Islam e i musulmani: questo genere di provocazioni non fa altro che fomentare l’odio e gonfiare sempre più i cuori. Non vogliamo entrare in questi conflitti, ne abbiamo già abbastanza.
Stiamo cercando di combattere insieme il fanatismo religioso e fare fronte comune contro il terrorismo di matrice “islamica”. Ma vedo che molti non ci aiutano, anzi, partono dal presupposto che non esistono musulmani moderati, non esiste un Islam moderato, non esistono persone con cui si può dialogare. A questo punto ci cancellano dall’esistenza, e voglio vedere dove costoro vogliono arrivare.
In tutto questo, però, tifosi turchi urlano Allah u’Akbar durante il minuto di silenzio per Parigi, a Ballarò intervistano musulmani di Milano e loro rispondono in modo strano, dicono “Sì, io sono contro la violenza, l’islam non è violento, ma i francesi hanno ammazzato civili in Africa“. Il retrogusto che rimane in bocca ha il sapore di giustificazione. Dov’è la differenza con chi dice “Io non sono razzista, ma i negri/gli zingari/i musulmani non li voglio nel mio paese”? Tutto quello che si dice prima del “ma” non conta.
Solo una sparuta minoranza dei musulmani imbraccerebbe un fucile, però forse non sono così pochi a pensare, anche di nascosto, che in fondo, di tanto in tanto, una lezioncina agli occidentali non fa male.
Voi andate a sentire le voci di alcuni cani sciolti.
Andiamo con ordine: i tifosi degli stadi per me non contano, visto che anche qui i tifosi ne dicono di tutti i colori, contro gli ebrei contro i musulmani, contro Balotelli, i negri… non li prendo in considerazione perché sono una fetta della società con la testa piena di argilla.
Quelli che vengono intervistati, sono poveri disgraziati raccolti per le strade.
A me interessa la stragrande maggioranza dei musulmani che sono scesi per le strade a dire no al terrorismo. Lei sa quanti eravamo in piazza Castello a Torino?
Me lo dica.
Tutte le moschee di Torino e le associazioni più importanti hanno firmato un documento di condanna al terrorismo e di solidarietà al popolo francese.
Non si può dire che tutte queste persone non contano nel momento in cui si ascoltano due o tre persone che dicono delle cavolate.
A me interessa quella fetta di stragrande maggioranza di persone che sono nelle piazze quotidianamente: in ogni città d’Italia ci sono manifestazioni e fiaccolate, tutti i giorni ci sono iniziative in merito a cui partecipano parecchi, tantissimi musulmani. Perché non prendiamo in considerazione costoro, non li adottiamo, non diamo loro voce, non ascoltiamo le loro urla? Invece, cerchiamo le voci di quei poveri sciamannati, che non sanno. Bisogna perdonarli, non sanno: questi qui stanno facendo il gioco dell’ISIS senza saperlo.
Abbiamo anche visto campagne social su Facebook, dove ragazzi chiaramente musulmani si fotografano con cartelli “Not in my name”.
Ma anche qui a Torino, in piazza Castello, ci siamo scattati foto per i social network. La sera dopo l’attentato eravamo in piazza Castello e c’è una foto mia e di Giampiero Leo [ex consigliere regionale piemontese, ex PdL e ora NCD, ciellino, N.d.R.] in mezzo a delle ragazze musulmane con il velo con il cartello con su scritto “Non nel mio nome”.
Questo lo diciamo tutti, lo manifestiamo tutti e continueremo a farlo perché è la nostra battaglia, ancor prima che la vostra.
Molti dicono che una via per combattere il radicalismo jiahadista è quella che deve partire dalla stessa comunità musulmana. Toccherebbe alla comunità musulmana far terra bruciata intorno agli estremisti. Lei pensa che sia possibile ed efficace?
Bisogna isolarli e denunciarli, come è stato fatto negli anni di piombo. Il nostro compito è di vegliare ed isolare questi soggetti. In Italia per fortuna non li abbiamo: c’è qualcuno con la testa riempita dall’internet, ma per fortuna non abbiamo formazioni terroristiche, e speriamo di non averle.
Da noi è stato fatto molto: c’è da dire che l’intelligence e i servizi iracheni avevano avvisato la Francia, ma non sono stati presi in considerazione. I nostri servizi lavorano bene.
Adesso c’è stata una collaborazione con i servizi marocchini per catturare questi ultimi terroristi, che sono stati catturati oggi e qualcuno è anche morto. I nostri governi, soprattutto quelli moderati – cito il Marocco, cito la Tunisia che è in guerra in questo momento, cito l’Algeria, cito l’Egitto, l’Iraq stesso, la Giordania – stanno lavorando.
Abbiamo dimenticato quel povero pilota giordano: è stato catturato mentre bombardava l’ISIS per il suo Paese, ed è stato bruciato vivo.
Dei martiri li abbiamo anche noi: siamo tutti nella stessa trincea, abbiamo il compito di lavorare insieme.
Se rimaniamo ad accusarci di fatti accaduti secoli fa, se scaviamo nel passato per generare ancora più odio usando responsabilità in cui noi non c’entriamo, non percorriamo la strada giusta.
Cosa intende con “isolare le fonti estreme”?
Tagliare le fonti economiche, stringerli in cerchi sempre più stretti, e smettere di dire “No, non possiamo andare a fare la guerra”. La guerra qualche volta bisogna anche farla, quando è necessario: non possiamo aspettare che questi arrivino in casa nostra.
Esiste nell’islam il concetto di religione come fatto privato e non come religione impositiva?
Qui noi siamo davanti a un problema teologico. L’Islam ha i suoi problemi interni, questo è chiaro e dobbiamo riconoscerlo: non abbiamo un punto di riferimento come hanno i cattolici, e viaggiamo ancora su interpretazioni che risalgono al 1300. La Comunità Islamica ha necessità di colmare dei vuoti spirituali, ed è un traguardo raggiungibile solo tramite il lavoro collettivo della cosiddetta Umma islamica.
Noi dobbiamo arrivare al punto di concepire che si può giungere a un Islam moderno, che viaggia in accordo con le necessità del tempo: un Islam che isola e separa la politica dalla religione, come è stato fatto dal cristianesimo, e che si può praticare a livello individuale. Non è proibito, non c’è scritto da nessuna parte che non si può fare. E la lodevole preghiera del venerdì può essere considerata come la messa domenicale.
Quali sono gli ostacoli?
Bisogna riuscire a creare e concepire una nuova interpretazione del testo sacro, un Islam moderno che accetti: su questo si sta lavorando, parecchi teologi e sapienti lo stanno facendo.
Dall’altra parte abbiamo i retrogradi, i salafiti integralisti e radicali: costoro vogliono tornare all’interpretazione letterale del testo. Non solo: distorcono il testo, lo maltrattano, lo interpretano a modo loro per farlo diventare un’ideologia politica. Questo lo voglio dire in modo molto chiaro agli italiani: l’Islam è stato coinvolto suo malgrado.
In che senso?
È vero che esiste un testo sacro, ma è anche vero che questo testo che si riferisce a un determinato contesto storico: è già passato, non è di oggi. Questi terroristi, questi disgraziati, lo prendono, lo forzano e lo distorcono a modo loro, per creare un’ideologia politica.
Fate sapere ai giovani che esistono musulmani vogliosi di vivere come loro, godendo della vita che Dio ha donato: il suicidio è condannato dall’Islam e non è accettabile.
Noi non siamo potenziali suicidi, ma persone che vogliono vivere, costruire e creare generazioni in pace.
Umberto Mangiardi
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