
Gli anni Settanta in Italia sono segnati dalle conseguenze della crisi energetica del 1973, dalla crisi economica, dal terrorismo e da un clima incandescente nei rapporti tra le parti sociali.
Le elezioni del maggio 1972 vedono una netta vittoria della Democrazia Cristiana con il 38% dei voti, il Pci raggiunge il 27% ma la sorpresa è rappresentata dal Msi che per la prima volta si propone come collettore unico della destra italiana; il partito guidato da Giorgio Almirante raccoglie il 9% dei consensi, inglobando definitivamente i monarchici ed erodendo voti alla Dc, soprattutto al Sud.
Il governo Andreotti II che si costituisce durerà un anno e a determinarne la caduta sarà la riforma televisiva. I due nocchieri che guideranno la Repubblica nelle nebbie della VI legislatura saranno prima Mariano Rumor (governi Rumor IV e V) e Aldo Moro (governi Moro IV e V).
L’Italia torna alle urne nel giugno del 1976 in un clima delicato. Sono gli anni delle Brigate Rosse, delle lotte operaie nelle fabbriche del Nord e della grande avanzata del Pci, sancita nel 1975 dal successo nelle elezioni amministrative.
La Democrazia Cristiana, per la prima volta, teme il sorpasso e anche gli Stati Uniti sono preoccupati da una vittoria dei comunisti (il Pci italiano era il più grande partito comunista europeo).
Le urne confermano in parte i timori della Balena Bianca. La Dc conquista il 38,71%, il Pci le è dietro di appena quattro punti (34,37%). La maggioranza risicata ottenuta dalla Dc non le consente di governare, anche perché il risultato del Pci ha determinato anche l’azzeramento di tutti i partiti satellite sui quali lo scudo crociato ha sempre fatto affidamento.
Un compromesso sembra inevitabile. Del resto il segretario del Pci Enrico Berlinguer teorizza ormai da qualche anno la necessità di un’unità democratica che raccolga in un unico polo le forze antifasciste, trascini l’Italia fuori dal pantano della crisi economica e ponga fine a quella “conventio ad excludendum” che (anche per le pressioni americane) mira a tenere il Pci lontano dal governo.
L’impasse viene superato proprio grazie al buon senso del Pci che decide di sostenere un esecutivo monocolore Dc senza pretendere ruoli di governo; un appoggio esterno destinato, almeno sulla carta, a durare.
La guida di quel governo, subito ribattezzato “di solidarietà nazionale”, viene affidata a Giulio Andreotti (Andreotti III).
Passano due anni e nel 1978 il Pci prepara lo strappo, ponendo alla Dc un ultimatum: o un coinvolgimento nel governo o il ritiro dell’appoggio. Nel gennaio Andreotti rimette il mandato nelle mani del presidente Leone.
Il 28 febbraio il presidente del consiglio nazionale della Dc Aldo Moro, nel suo ultimo discorso pubblico, sottolinea la necessità di individuare un’area comune con il Pci ed apre alla possibilità di un nuovo monocolore Dc votato direttamente dai comunisti.
In realtà il governo presentato da Andreotti non tiene conto minimamente delle indicazioni del Pci. Nel giorno in cui Andreotti si presenta alle Camere per il voto di fiducia un commando delle Brigate Rosse rapisce Moro in via Fani.
La situazione di emergenza spinge il Pci (che invoca il pugno duro ed è contrario a trattare con le Br) a votare nuovamente la fiducia al IV governo Andreotti.
Da quel momento in poi il Pci inizia ad arretrare, incalzato anche dai radicali; la Dc conferma la sua tenuta e il Psi di Bettino Craxi cresce.
A. P.
@twitTagli
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Parte 1 – Introduzione
Parte 2 – Gli anni ’50 e ’60: Pella, Tambroni e i governi balneari
Parte 3 – Il 1976 e le larghe intese
Parte 4 – Gli anni ’80: il patto della staffetta
Parte 5 – Gli anni ’90: Amato, Ciampi e Dini