I 4 rimpianti industriali italiani

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Capire perchè l’Italia sia più in crisi di altri Paesi europei, non è di sicuro compito facile: se lo si sapesse con certezza e se la causa fosse solo una, probabilmente saremmo già fuori dalla crisi. Tra le varie ragioni ce n’è però sicuramente una: durante il boom economico post II Guerra Mondiale l’Italia è stata all’avanguardia mondiale in quattro campi industriali d’eccellenza che ora guidano l’economia di gran parte degli stati più ricchi del mondo.
Oggi, di questi quattro campi industriali, ne rimane forse mezzo: gli altri sono del tutto spariti, o si sono trasformati da poli di avanguardia in poli di mediocrità.

Tra le cause di questo declino ce ne sono sicuramente due: disgiunte, ma strettamente concatenate.

  1. la nostra situazione politica “bi-polare” di allora (comunisti da una parte a democristiani dall’altra)
  2. il fatto di essere stati salvati dai Nazisti grazie uno “slancio di generosità”  degli Stati Uniti.

Ed è proprio questa caratteristica che rende l’Italia del 1945 un Paese atipico: siamo un fido alleato degli Stati Uniti (con cui siamo appunto in debito per la liberazione e per un bel po’ di dollari sonanti arrivati in nostro soccorso per la ricostruzione), ufficialmente membri della Nato e ufficialmente distanti da qualsiasi organizzazione che possa ricondursi al blocco sovietico.
Dentro di noi c’è però quel partito comunista italiano, il più grande partito comunista in un Paese occidentale, con Segretari e rappresentanti di spicco che possiamo leggere ancora oggi nei nomi delle vie delle nostre città. E gli USA, si sa, diffidano da qualsiasi cosa che richiami anche solo lontanamente il colore rosso.

I QUATTRO POLI DI ECCELLENZA 

Mario Tchou, Enrico Mattei, Felice Ippolito e Domenico Marotta: sono nomi che forse non avrete mai sentito, soprattutto se avete meno di cinquant’anni; ma sono quattro persone che nel Dopoguerra hanno, con alti e bassi, creato i presupposti per rendere l’Italia leader nel mondo in settori come l’informatica, l’energia, il nucleare e la scienza applicata alla sanità.

Mario Tchou è il braccio destro di Adriano Olivetti, direttore generale della omonima azienda fondata dal padre.
La Olivetti è stata per più di un ventennio e senza mezzi termini, la “Apple” italiana: un’azienda talmente all’avanguardia da riuscire ad essere leader mondiale nella ricerca dei calcolatori elettronici, a lanciarne il primo modello commerciale al mondo (l’Elea 9003) e a creare un welfare aziendale che farebbe invidia a molte aziende del giorno d’oggi. Arriva perfino ad acquisire aziende americane del settore. 
La Olivetti non aveva eguali al mondo, sia in termini di ricerca (spesso portata avanti con l’Università di Pisa), sia come capacità di comprensione su come innovare un prodotto per avvicinarlo al consumatore di massa.

Enrico Mattei è il presidente dell’ENI: un tipo losco, che merita maggior approfondimento. Molti lo ritengono un Ministro ombra, alcuni un personaggio ai limiti della legalità, altri ancora uno dei personaggi più importanti dell’Italia moderna.
Molto probabilmente Mattei è stato tutte e tre le cose. Ufficialmente era il Presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi – appunto, l’ENI- e lo ha fatto per tutta la vita.

Se non volete approfondire la sua figura attraverso il bellissimo ritratto dipinto da Federico Mosso nel suo Italica Noir, provvedo a farvi un riassunto: nei primi anni di pace post guerra l’Italia si trova indietro nel campo dell’estrazione degli idrocarburi rispetto a tutti gli altri stati occidentali, talmente indietro che il Governo italiano vuole smantellare definitivamente l’Agip ( Agenzia Generale Italiana Petroli fondata nel ’26) e nomina Mattei come liquidatore.
Mattei è però convinto che l’Italia abbia solo un complesso di inferiorità, ma che in realtà sia assolutamente in grado di avere una propria politica nazionale degli idrocarburi. Iniziano le ricerche attraverso trivellazioni nella Pianura Padana. Vicino a Piacenza trova delle sacche di petrolio: per lui queste sono sono la prova tangibile che l’Agip non sia da liquidare, ma da trasformare.

Nasce quindi l’ENI e con essa i metodi “particolari” di Mattei prendono vita: si scava di notte per evitare sguardi indiscreti, ci si fa amici Sindaci e Politici di possibili mete di estrazione allungando mazzette qua e là, si saltano lunghe trafile burocratiche prima scavando e poi richiedendo i permessi e via così. Il fine (l’indipendenza energetica dell’Italia), giustifica i mezzi, dice.
Le mire di Mattei però hanno confini ben più ampi della Pianura Padana. Si estendono anche a sud del Mediterraneo ed anche lì i metodi rimangono gli stessi. Si arriva fino in Iran, dove fino ad allora c’erano arrivate solo le “Sette Sorelle”. Si arriva in Russia, facendo un bello sgambetto alla Nato ed al suo embargo commerciale. Nel 1962 l’Italia opera in più di 20 Paesi tra Africa e Medio Oriente, è prima per numero di impianti di estrazione e terza per capacità di raffinazione.

Il terzo rimpianto industriale riguarda la fisica atomica – che, sia chiaro, non vuol dire costruire centrali nucleari sotto casa.
Nell’immediato Dopoguerra italiano le migliori menti della fisica o sono emigrate negli USA oppure sono talmente tanto sparpagliate tra le rovine del Paese da risultare impossibile cercare di avvicinarle per poter progettare qualcosa.
L’obiettivo riunificatore è nelle mani di Edoardo Amaldi, fondatore -nel 1945 a Roma- del Centro Studi di Fisica Nucleare e delle Particelle Alimentari, sotto il controllo del Cnr (Centro Nazionale delle ricerche).

Parallelamente a Milano nasce anche il Cise (Centro Informazioni Studi ed Esperienze) che riceve fondi privati da aziende quali Edison, Fiat, Cogne, Falck, Montecatini, Sade, Terni: in pochi anni il Cise diventa il più grande polo sul nucleare italiano.
La ricerca nucleare è roba grossa, però. Grossissima.
Non basta il privato, serve anche il pubblico. Ma nel ‘48 De Gasperi nega ulteriori fondi alla ricerca e il sogno italiano è rimandato fino al ‘51, anno in cui lo stesso De Gasperi si decide a raddoppiare i fondi per il Cise.

Amaldi però si accorge che per competere con gli Stati Uniti non bastano nè i privati,nè un solo governo: ci vuole l’Europa. Il compito di riunire in un unico progetto più Stati europei è affidato dall’Unesco proprio ad Amaldi.
Nel 1954 nasce così il Cern di Ginevra – e con lui il più grosso acceleratore di particelle al mondo – di cui Edoardo Amaldi è il Segretario Generale. Nasce anche il Cnrn (Centro Nazionale Ricerche Nucleari) con Segretario Generale Felice Ippolito, braccio destro di Amaldi. Il tutto a spinta fortemente statale.
A ciò si aggiunge la costruzione del primo sincrotrone italiano a Frascati e l’installazione di un reattore nucleare ad Ispra, Varese. Proprio mentre l’Italia è all’apice delle proprie ricerche e guida il più grande progetto al mondo (il Cern di Ginevra), qualcosa si inceppa.

L’ultimo rimpianto industriale riguarda la scienza applicata alla sanità: è opera di Domenico Marotta, Direttore dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Grazie alla sua guida – durata dal 1935 al 1961- viene realizzato il primo microscopio elettronico in Italia, viene debellata la malaria in 5 anni, ma soprattutto viene creato (nel 1948) un gigantesco fermentatore in grado di produrre penicillina, rendendo l’Italia leader nella distribuzione di questo antibiotico (che negli ani ’50 equivale al… petrolio della farmacia). Tali risorse attirano futuri premi Nobel da tutto il mondo, che giungono da noi per proseguire i propri studi: è il momento di investire per creare a catena numerosi poli di innovazione bio-farmaceutica. E invece…

Mario Tchou e Enrico Mattei muoiono, entrambi in incidenti. In auto il primo, in aereo il secondo. Le circostanze sono molto sospette e probabilmente non sapremo mai le verità a riguardo. I fatalisti, parlano di tragiche fatalità. I complottisti parlano di omicidi minuziosamente orchestrati dai servizi segreti, americani e probabilmente non solo. Soprattutto nel caso Mattei, questa è più di una opinione campata per aria.
Ippolito e Marotta vengono invece arrestati con accuse simili, irregolarità nella gestione dei fondi di loro competenza. Entrambi hanno forzato valanghe di cavilli burocratici. Entrambi hanno oliato i meccanismi attraverso mazzette. Entrambi sono stati vittima di giochi di partito.
Tutti sapevano di queste irregolarità e tutti sapevano che queste irregolarità, pur essendo illecite e da punire, erano state utilizzate per velocizzare taluni processi e per raggiungere fini condivisi. 
Le accuse sono saltate fuori però solo quando si sono calpestati i piedi alla persona sbagliata.

La fine di questi sogni industriali ha un tratto in comune: lo Stato è sempre stato stramaledettamente lento ad incentivare ed aiutare le industrie di questi settori strategici. I motivi sono vari, e qui possiamo esclusivamente elencarli brevemente:

– incapacità di investire risorse mirate e a lungo termine su un determinato campo;
– continue divisioni politiche, anche all’interno della stessa DC – partito che ha amministrato l’Italia per gran parte del II Dopoguerra;
– ingerenza da parte degli Stati Uniti per evitare di perdere la leadership in determinati settori, condita dalla paura che un ribaltone politico italiano ci portasse dalla parte sovietica;
– burocrazia.

Ma si tratta di temi complessi, da approfondire. Per questo consiglio caldamente la lettura di “Il miracolo scippato”, scritto da Marco Pivato: un saggio tra economia, politica e ricostruzione storia per capire che sì, un’altra Italia era possibile. E per un decennio abbondante ci siamo andato davvero molto vicini.

Luca Murta

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