
È il 1953, sono passati solo sette anni dalla nascita della Repubblica e l’ottavo governo De Gasperi è ai suoi ultimi giorni di mandato. Nel gennaio di quell’anno, con l’intento di rafforzare la sua leadership e garantire la stabilità governativa, la DC presenta una legge di riforma elettorale che passerà alla storia come “legge truffa”.
La legge propone una modifica parziale dell’allora vigente sistema proporzionale con l’attribuzione del 65% dei seggi alla lista o al gruppo di liste che avesse ottenuto il 50% più uno dei voti.
Dopo settanta ore di discussione e diverse risse sfiorate si arriva all’approvazione della legge che però, in una sorta di contrappasso dantesco, si rivelerà un boomerang per la Balena Bianca.
Alle elezioni del 7 giugno la Democrazia Cristiana perde l’8% dei voti rispetto al risultato del 1948 e pur con l’apporto dei partiti satellite sfiora, senza però ottenerlo, il premio di maggioranza.
Il governo formato da De Gasperi non ottiene la fiducia e si apre la crisi. Il presidente della Repubblica Luigi Einaudi affida così l’incarico a Giuseppe Pella (foto), economista, democristiano e già ministro del Tesoro in alcuni dei governi guidati da De Gasperi.
Pella, che con Einaudi condivideva le idee economiche, era estraneo e quindi trasversale alle correnti interne alla DC ed aveva forti legami con gli industriali del Nord Italia.
Nasceva così un governo “di affari o amministrativo” perché privo di linee programmatiche, chiamato a gestire l’ordinaria amministrazione e di fatto nato per durare pochi mesi. Il governo dura infatti fino al gennaio 1954 quando Pella rivendica l’italianità di Trieste e Gorizia e assume, in un discorso, posizioni antiatlantiche e antiamericaniste.
Un errore che l’ala destra della Dc – quella che faceva capo a Mario Scelba ed era più convintamente filoamericana – non gli perdona.
Quell’esecutivo non è stata l’unica soluzione ponte degli anni Cinquanta. Dopo la parentesi del governo guidato da Adone Zoli (un governo di minoranza precostituita come ebbe a dire lo stesso Zoli), nel 1960 l’incarico di governo viene affidato a Fernando Tambroni che ottiene una risicata fiducia grazie ai voti determinanti del Msi e dei monarchici.
Anche il governo Tambroni è un esecutivo di scopo: dovrà guidare il Paese verso le Olimpiadi di Roma ed approvare la finanziaria
I missini si fanno ricambiare subito il favore. Chiedono e ottengono di tenere a Genova il congresso nazionale, una provocazione che la città non accetta dando il via a scioperi e manifestazioni di piazza che presto si estendono a tutta Italia.
Una repressione mai così violenta (i morti alla fine saranno 11 nelle manifestazioni di Reggio Emilia, Palermo e Catania) e l’incubo del fascismo ancora vivo nella mente acuiscono la rabbia della piazza, per nulla intimorita.
Isolato dalla classe dirigente che lo aveva sostenuto, Tambroni viene alla fine costretto a dimettersi.
Passano appena tre anni e nel 1963 l’Italia sperimenta il primo dei cosiddetti “governi balneari”. Esaurita l’esperienza del governo Fanfani IV le elezioni politiche dell’aprile 1963 decretano un brusco calo della DC che a quel punto non potrà governare senza l’appoggio del Psi.
La fase di stallo che si apre viene risolta dal presidente della Repubblica Segni che affida a Giovanni Leone la guida di un governo monocolore DC incaricato di gestire la transizione fino a nuove elezioni e di approvare la finanziaria (che all’epoca doveva essere approvata entro il 31 ottobre).
Il primo governo Leone durerà infatti sei mesi, da giugno (di qui balneare) a dicembre 1963.
Leone guiderà un secondo governo balneare nel 1968 prima di cedere il testimone a Mariano Rumor, che di questi governi temporanei ne guiderà ben tre consecutivi (dal dicembre 1968 all’agosto 1970).
A. P.
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LEGGI TUTTO
Parte 1 – Introduzione
Parte 2 – Gli anni ’50 e ’60: Pella, Tambroni e i governi balneari
Parte 3 – Il 1976 e le larghe intese
Parte 4 – Gli anni ’80: il patto della staffetta
Parte 5 – Gli anni ’90: Amato, Ciampi e Dini