Passione sicula

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La prima cosa che noti appena scendi dall’aereo è il calore.
Anche se il sole che ci illumina è lo stesso per tutti, pare che la Sicilia abbia il potere di modificarne alcuni connotati. Quello siciliano è un sole generoso e avvolgente, ti abbraccia senza troppa discrezione e ti inonda di un calore fortunatamente non troppo opprimente. Un calore eminentemente diverso, si capisce. 
In macchina, mentre usciamo col mio ospite dall’area aeroportuale di Birgi, il sole prosegue nella sua opera e ci lascia giusto lo spazio indispensabile per far operare le funzioni vitali.

La seconda cosa che noti invece è il paesaggio.
La quasi totale assenza di vegetazione a vista, i colori brulli e semidesertici, l’irrompere quasi continuo di rilievi e altipiani che ti accompagna lungo tutte le strade e le autostrade. È quasi un cimitero che si staglia a ricordarti di quanto rigogliosa e verde è stata a suo tempo la Sicilia.
Assolata e desolata, la stessa forma che assumono i paesi lungo le strade provinciale appare quella della città fantasma. Gli edifici somigliano a relitti, le strade sono vuote o quasi, ma già spuntano connotati caratteristici qui e là.

Ad esempio i garage aperti da cui sbucano solitari e dimessi produttori locali, con le loro vasche e cassette ricolme di prodotti agricoli in vendita a prezzi stracciati. In Valderice si notano soprattutto meloni gialli e angurie. Piccoli gruppi di anziani fuori dai bar o dai tabacchi che scandiscono col loro dialetto estremamente musicale, sebbene semi-incomprensibile, l’inizio della giornata.

Qualche saluto, alcune domande e relative indicazioni per fare la spesa in un paese in cui evidentemente nemmeno il mio ospite sa muoversi agilmente. Il tutto con estrema calma, sempre aperti e fiduciosi che le indicazioni ricevute sono affidabili. Gli odori del panificio sono da capogiro e l’aspetto delle pane di Castelvetrano è secondo solo al suo gusto. I colori della merce dell’ortolano affascinano, e la qualità si nota a vista anche per occhi poco esperti.

Un caffè e un cornetto per mettere in moto una mattinata stanca e segnata da una crescente calura; scoprire quanto il mio ospite sia messo in difficoltà dal mio tentativo (in perfetta buona fede) di offrirgli il caffè. Perdersi tra alcune urla e alcuni rapidi scambi di opinioni tra avventori di una ricevitoria del lotto, cercando inutilmente di capire, ma lasciandosi rapire dal sound dannatamente armonico del vernacolo.

A un certo punto invece arriva il mare.
Il tempo di scavarsi la strada tra le pareti scoscese delle alture siciliane ed ecco stagliarsi il mare accanto a me. Così, tutto d’un tratto. Colori che sembrano quelli dei pastelli con cui da piccolo coloravi appunto il mare nei tuoi disegni, spettacolo impagabile cui le fotografie e i filmati con cui ci asfissiano non rendono la dovuta giustizia. 

Il mare siciliano va vissuto per capire cosa sia. Anche in questo caso siamo di fronte a un elemento generoso e avvolgente. 
Le acque delle calette di Scopello (TP) ti invitano al primo sguardo a lasciarti andare, ad abbandonarti a un abbraccio cullante e non invasivo. Non ti gelano, non ti ricoprono di dosi massicce di salsedine, non ti possono ingannare data la loro trasparenza, non ti inondano mantenendosi un piatto giaciglio azzurro per il tuo quarto d’ora di paradiso.
La roccia, accidentalmente a picco sul mare, domina gli elementi della spiaggia e i faraglioni della Tonnara sono uno di quegli spettacoli da non perdere assolutamente. La torre del XV secolo che domina l’altura ti lascia solo intuire quel coacervo infinitamente sincretico che è il passato della Sicilia. 

Sincresi è la parola chiave per comprendere quest’isola, che ha un’eredità storica tutta sui generis dove grandi civiltà e personaggi si sono alternati lasciando ognuno qualcosa di suo e di personale. La rielaborazione del poliedrico patrimonio culturale da parte dei siciliani ha permesso loro di ritagliarsi uno spazio di personalità e di non aggiungersi molto semplicemente alla lista delle conquiste, ad esempio, di un arabo o di un normanno.

Dunque la Sicilia non è araba, non è normanna, non è magnogreca, non è fenicia, non è bizantina, non è angioina né tanto meno borbonica; è tutto questo e altro ancora. La sincresi si coglie ovunque, non c’è nulla in tutta l’isola che non rammenti l’incontro e il fluidificarsi di diverse realtà.

La straordinaria ricchezza del patrimonio culinario, tanto per fare un esempio, è la spia più evidente di tutto questo e i lasciti sono plurimi. Un dato che ne vale mille: Palermo è considerata la quinta città nel mondo per il cibo di strada.
Il ventaglio della proposta è potenzialmente infinito, in una settimana spesa ad assaggiare tutti i prodotti irrinunciabili della cucina siciliana (sfincione, caponata, busiate, arancine, pane panelle e crocchè, pane ca’meusastigghiole, cannoli, etc.) scopro di non essere altro che alla punta dell’iceberg.

La sincresi è architettonica, in ogni senso. Non solo gli stili dei monumenti trovano improbabili quanto riuscite amalgame, ma la stessa architettura urbana risponde a criteri di commistione inconcepibili per il pensiero. 
Prendiamo, ancora una volta, la singola Palermo. A fianco all’accostamento tra stile arabo-normanno, barocco e rococò della Chiesa della Martorana, troviamo San Giovanni degli Eremiti che coniuga stile bizantino, arabo e normanno.

Una Cattedrale immensa e spiazzante ospita l’eterno riposo dell’imperatore Federico II (già, perché Palermo è stata anche sede imperiale) è attraversata da diversi stili, dal normanno al neoclassico. E, ancora, un folgorante Palazzo Reale (o dei Normanni) spalanca tutta la sua bellezza nell’aurea Cappella Palatina dove ancora troviamo un incontro tra stile arabo, bizantino e normanno. 
La splendida Zisa, residenza estiva dei sovrani siculi, è l’ennesimo esempio di commistione tra architettura araba e normanna – oltreché magnifico esempio delle abilità progettuali islamiche nello sfruttare e convogliare i venti per mantenere gli ambienti freschi e ventilati.

È o non è stupefacente? E anche in questo caso non è che la punta dell’iceberg, la città offre un’infinita serie di luoghi di interesse artistico che vanno dalla colonizzazione fenicia fino ai possenti edifici in stile fascista. Figuratevi l’isola in generale.

La sincresi è anche nelle donne, nelle ammalianti donne siciliane che racchiudono in sé il fascino di una bellezza mediterranea unica: il colore brunito della pelle e dei capelli del mondo arabo incontra la fisicità slanciata dei tratti normanni; l’abbondanza è magnetica, un misto di grazia francese e di fuoco ispanico che si sintetizzano in un unicum straordinario. E questa è solo una delle infinite combinazioni fisiche e somatiche che le bellezze siciliane possono offrire.

La sincresi è però nel modo stesso di concepire la casa e lo spazio pubblico, le porte delle case si aprono direttamente sulle strade, il mondo che passa accede facilmente con lo sguardo e con l’udito a quello che dovrebbe essere lo spazio privato. 
Le strade e i vicoli non di rado sono occupati da membri della famiglia seduti su sedie, o perché no da tavole imbandite. I piazzali risuonano chiassosi di urla di bambini scatenati e non di rado delle urla di qualche mercante che si attarda a chiudere.
Si passeggia sempre col naso all’insù, eppure non siamo nei vertiginosi U.S.A.: sono le terrazze che catturano la nostra attenzione, la loro infinita varietà di soluzioni, la loro testimonianza di un’arte dell’arrangiarsi con poco per rendere ognuna di esse unica e irripetibile.

Ma l’apoteosi di questa sincresi è ancora altrove, nelle viscere pulsanti del capoluogo siciliano, nelle sue arterie popolari dei mercati della Vucciria e di Ballarò: veri e propri bazar a cielo aperto, luoghi di incontro e di socialità, di colori e di sapori dell’area mediterranea e non. In mezzo a edifici sventrati, sbucciati e sbertucciati che sembrano quasi il set di un film ambientato in un futuro post-apocalittico, si schiude una vitalità e un pittoresco che non hanno eguali.

I barroccini aprono e chiudono in questi reticolati fitti ed erratici costituiti dai mercati, specialmente alla Vucciria si dice che i balati (i blocchi di pietra che costituiscono la pavimentazione) non si asciugano mai. 
Vivacità pura, mercato allo stato brado e vita notturna: tutto questo si concentra tanto a Ballarò quanto alla Vucciria, stando al mio cicerone. Viaggio per i numerosi capillari di questi mercati storici e mi domando cosa sia successo alla Firenze tutta usci e botteghe che, a quanto mi raccontano, non era nel suo passato poi così diversa.

La sincresi è seriamente la chiave di volta per iniziare a penetrare una regione altrimenti enigmatica e contraddittoria. Enorme, sede di diverse attività, in pieno rilancio culturale, in lotta coi suoi mali ancestrali, paradiso storico, enogastronomico e artistico, la Sicilia (e Palermo in particolare) è una vera e propria miniera d’oro. Ed è proprio dalla sua sincresi creativa che la Sicilia può ripartire e dare una lezione all’intera compagine nazionale di cui fa parte. 

Se imparassimo, come i siciliani, a concepirci come sincresi e non come unità omogenea forse anche noi italiani potremmo scoprire la nostra reale dimensione di Paese. La coscienza di questo porta ragazzi giovani, come il mio cicerone Fabio e i suoi amici che ho avuto modo di conoscere, a credere e a scommettere sulle potenzialità inespresse della propria terra. 

Una terra che sa essere ospitale e aperta, generosa come il suo sole e il suo mare, pronta a nutrirsi delle esperienze e dei contenuti che arrivano da fuori. Un caso unico di isola tutt’altro che isolata, disponibile all’arricchimento e non rassegnata alla chiusura provinciale o alla constatazione dell’insormontabilità dei suoi problemi.

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In Sicilia è stato come essere a casa per me, nemmeno per un istante mi sono sentito alieno o estraneo. Forse perché anch’io ho gettato me stesso in questa commistione multisfaccettata, conscio che non avrei perso nulla della mia individualità, ma che mi sarei al contempo arricchito e (perché no) avrei arricchito chi mi stava intorno. 

Lasciare la Sicilia, in questo senso, non è semplice. Vorresti abitarla, vorresti viverla appieno, vorresti farne in qualche modo parte. Mentre l’alba esplode dietro al bus che mi porta da Palermo verso Birgi, non posso non tirare qualche sospiro guardando fuori dal finestrino, scrutando quel panorama un po’ brullo e un po’ ricco dell’isola che mi abbraccia per l’ultima volta. 
È quell’abbraccio che mi porterò stretto ovunque andrò, sempre pronto a dire che la Sicilia è l’universo da cui chiunque può decidere di lasciarsi ispirare e da cui chiunque può ripartire.

Questa è la mia passione sicula.

doc. NEMO
@twitTagli

(Crediti foto di copertina, Franck Manogil)

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