
È inoltre un bel paradosso, per una delle figure più bastarde che il mondo del rock abbia mai conosciuto, andarsene così.
La morte ha dovuto essere scomodata direttamente dato che la droga, l’alcol, gli eccessi e tutti gli altri agenti logoranti della vita da rocker proprio non riuscivano a fermarti o a portarti via.
Sembrava, anzi, che facessero da carburante catalizzatore. Si iniziava quasi a sospettare che fossi immortale finché i primi acciacchi non ti hanno costretto a sospendere alcune date.
Dopo essere andato fino in fondo e averci restituito il midollo della primordialità del rock’n’roll, quel quid non meglio descrivibile che ti torce le budella e che non può, non può lasciarti indifferente. Come dicevi sempre: «Se non ti piace il rock’n’roll non è questione di gusti, il problema è solo tuo».
Ripercorrere tutte le tappe della sua carriera è una tentazione cui sfuggirò: la sua autobiografia La sottile linea bianca assolve perfettamente a tale compito, oltre a offrire una carrellata sul mondo del rock dai Beatles agli Slayer attraverso le sue pupille stanche, ma sempre fiammeggianti.
Una band che ha riscritto le coordinate del rock tuffandolo nelle suggestioni rumorose e irruente del punk, spianando la strada all’emergere del fenomeno musicale che successivamente verrà canonizzato col nome di metal.
Trasversali come pochi, i Motörhead sono rimasti, nelle intenzioni del nostro, nient’altro che una rock band: «Good evening, we’re Motörhead, we play rock’n’roll». Semplice, come lo senti e lo sperimenti sul tuo corpo.
Scegliete quello che preferite e tirate al massimo il volume, come avrebbe fatto lui.
Non schiacciate ancora play, non ancora.
Versatevi due dita di whisky, una buona birra o un bicchiere di vino non troppo ricercato.
Schiacciate play adesso.
Levate il calice. Lasciatevi andare.
Glorificate il rock’n’roll!