I Mondiali in Qatar sanciranno la morte del calcio

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Inverno 2010: le cronache narrano di un ménage à trois tra i salotti di Parigi. I protagonisti sono Le Roi Michel Platini, presidente Uefa, Nikolas Sarkozy, premier francese e tifosissimo del Paris Saint Germain, e Tamim bin Hamad al Thani, proprietario della Qatar Investment Authority, fondo sovrano qatariota che attinge risorse dal gas naturale e dal petrolio per iniettare liquidi nell’economia occidentale, martoriata dalla grande crisi del 2008.

La Qia di Tamim ha un capitale da investire enorme: 350 miliardi di dollari. E ha già messo le mani sui grandi marchi europei e americani, come Walt Disney e Volskwagen (che a sua volta è proprietaria del club tedesco Wolfsburg).
Alla fine dello stesso anno la Fifa vota (14 voti favorevoli e 8 contrari) la nomina del Qatar come Paese ospitante dei Mondiali di calcio 2022.

Per sentire puzza di bruciato, però, bisogna aspettare fino all’estate del 2014. Il quotidiano inglese Sunday Times rivela – con un’inchiesta giornalistica pazzesca – un presunto sistema di mazzette che ha coinvolto il Qatar e altre federazioni, per lo più africane, volte alla compravendita di voti per l’assegnazione della manifestazione.

Secondo la ricostruzione, uno scambio di email tra il 2008 e il 2011 proverebbe l’acquisto di voti da parte dello sceicco Mohamed bin Hammam (presidente dell’Asian Football Confederation), con somme che si aggirano attorno ai 200mila dollari per ogni federazione comprata. Dall’inchiesta risulterebbe coinvolto anche l’ex vicepresidente della Fifa Jack Warner.
La notizia è grossa e fa rumore e la Fifa non può far finta di niente. Ecco perché, nello stesso anno, apre un’inchiesta che si conclude con un nulla di fatto, il tutto con una velocità imbarazzante.

Dall’altra parte, però, ci sono gli Stati Uniti. Il movimento calcistico USA dal 1994 ad oggi è cresciuto in maniera esponenziale, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello della popolarità. Gli investimenti effettuati negli anni, non sono serviti solamente nell’acquisto di campioni dall’Europa, ma anche nell’investimento di strutture, stadi e formazione di giovani talenti e staff. Insomma: lo sport.
Loro erano gli altri candidati per ospitare il torneo. E lo sgarbo è costato caro a Blatter, allora in carica alla Fifa e incriminato qualche anno più tardi dagli agenti dell’Fbi per un bonifico sospetto versato nelle tasche Michel Platini. Poco dopo, salterà anche la testa di Le Roi alla Uefa: attualmente è squalificato per 6 anni, nonostante la sua rielezione nel 2015.

Ma il Mondiale in Qatar non si può fermare. Ormai i lavori sono iniziati, tocca creare il calcio da zero: costruire stadi e impianti per l’accoglienza di nazionali e tifosi. Perché il Qatar è una nazione poco più piccola della Sardegna e conta appena 2 milioni abitanti.
Gli stadi, inoltre, dovranno essere coperti e climatizzati, perché nel deserto le temperature arrivano fino a 50 gradi. Per ovviare alle temperature torride, inoltre, c’è la seria possibilità che il mondiale si giochi a dicembre, sospendendo i campionati con le nazionali coinvolte, falsandone di fatto i risultati.

E poi i qatarioti non sanno neanche cosa sia il calcio. La rosa della nazionale è in buona parte composta da calciatori senegalesi, algerini, egiziani, marocchini e persino brasiliani, che, non trovando spazio nelle rispettive nazionali, accettano la naturalizzazione. E i milioni. La stessa nazionale ha iniziato a partecipare alle qualificazioni alla Coppa del Mondo solamente nel 1978 (fino al 1971 era ancora protettorato britannico). E nessuna squadra di club qatariota ha mai vinto la Champions League asiatica. Il campionato locale non è un torneo, ma un circo, noto soprattutto per le apparizioni di campioni a fine carriera come Gabriel Omar Batistuta, Juninho Pernambucano, Caniggia e Romario.

E poi la Qatar Investment Authority è già entrata nel calcio che conta, rilevando il Paris Saint Germain, società importante, ma poco vincente. La squadra di Sarkozy viene “ripulita” dalle frange più hardcore del tifo parigino, lo stadio viene rifatto. Ma soprattutto Tamim ripropone in Francia quello che gli emiri fecero a Manchester, sponda City: inserisce massicce quantità di denaro liquido.
Nel giro di poco il PSG passa da essere una scialba squadretta a un colosso europeo. A suon di milioni, arrivano Verratti, Pastore, Lavezzi, Cavani, David Luiz, Di Maria e, su tutti, Zlatan Ibrahimovic.

Sarcozy sorride, probabilmente. Ma il calcio milionario degli sceicchi è sempre più dopato. Come accadde negli anni 80, quando Silvio Berlusconi acquistò il Milan, strapagando i migliori campioni d’Europa. Eppure c’è poco da sorridere. I petroldollari inquinano lo sport più bello del mondo. Tattica, lavoro, investimento nei settori giovanili e tradizione vengono sostituiti dai bilanci monstre di una manciata di società, che, nel giro di qualche stagione, saranno le uniche in grado di competere ad altissimi livelli.

Et voilà, il giocattolo si è rotto.

Basterebbe questo per capire che affidare al Qatar la più grande e seguita manifestazione sportiva è la fine del calcio così come lo conosciamo. La scelta della politica è chiara: togliere il pallone da chi lo ama –  parafrasando lo slogan inflazionato della Lega Serie A -, per darlo ai potenti ultramilionari nelle loro cattedrali d’oro nel deserto.

Ma non è tutto. Fonti dell’intelligence americana raccontano di un ambiente permissivo nella raccolta e distribuzione di fondi diretti al terrorismo dello Stato Islamico.
Tuttavia, non è questo che interessa, sarebbe come se qualcuno si fosse opposto all’affidamento dei Mondiali in Italia del 1990 perché parte della classe dirigente e imprenditoriale italiana era collusa con le organizzazioni criminali.

Lo scempio su Qatar 2022, però, si sta già consumando in termini di violazioni dei diritti umani e sfruttamento del lavoro. Come ha scritto Umberto Mangiardi qui su Tagli, “la legge qatariota (kafala) prevede condizioni feudali, in virtù delle quali il datore di lavoro entra in possesso di tutti i documenti del suo dipendente. Firmando il contratto, difatti, non si instaura un rapporto ‘alla occidentale’ in cui entrano in gioco datore-prestatore-mansione-retribuzione, ma ci si consegna in toto al padrone: il passaporto viene preso in consegna e il dipendente non può lasciare il Qatar senza autorizzazione. Si diventa prigionieri”.

Amnesty International ha stimato che da qui alla fine del completamento dei lavori per i Mondiali di calcio i lavoratori sfruttati saranno circa 2 milioni e mezzo. Si tratta, soprattutto di persone provenienti da Nepal, Bangladesh e India. Secondo il Guardian, inoltre, in Qatar ci sarebbero 2.5 morti bianche al giorno.

Tra le aziende sotto osservazione c’è la francese Vinci, che avrebbe un giro di affari di circa 40 miliardi per appalti legati a infrastrutture per i Mondiali del 2022. La Vinci è stata accusata da alcune Ong francesi di aver requisito i documenti dei lavoratori stranieri, obbligandoli a vivere e lavorare in pessime condizioni.

Non si può non ripensare a quel 2010 e quella cena tra Sarkozy, Platini e Tamim bin Hamad al Thani. E a quel giro di affari che coinvolge finanza, politica e sport.
Perché se i regni del passato usavano i matrimoni per stringere alleanze, ora, pare si usi il pallone.
Questo è il (non)calcio del futuro, che fa venire una certa nostalgia per le scazzottate degli hooligans.

Andrea Dotti

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