Claudio Lolli cantava: “vecchia piccola borghesia, non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Dopo la Grande Bellezza di Sorrentino, un altro film italiano rappresenta l’Italia nella selezione del miglior film straniero in corsa per la nomination all’Oscar.
Si tratta de Il capitale umano di Paolo Virzì, già vincitore del David di Donatello. Non è ancora la nomination vera e propria, ma è comunque un traguardo importante e meritato per la nostra industria culturale.
Una commedia imbastardita di noir, che racconta la borghesia – piccola e grande – della Pianura Padana. Movimenti di capitale che si mescolano con la morte accidentale di un uomo della worker class italiana. Il tutto condito da tradimenti, matrimoni fallimentari e drammi adolescenziali.
Il risultato è ottimo. Si ride, si piange e ci si commuove. In pieno stile Virzì, che da Ovosodo in poi non ha sbagliato un colpo. Capace di raccontare un Paese in tutte le sue contraddizioni e metterlo insieme in un quadro unico. Mai banale. Mai scontato.
Tra il cast stellare – Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni e Fabrizio Bentivoglio – spicca però il talento di uno dei protagonisti. Giovanni Anzaldo, nel film Luca Ambrosini, il bello e dannato della situazione.
Anzaldo racchiude in sé tutto ciò che è la new generation italiana. Famiglia umile, un sogno e tanto talento. E ha voglia di sudare e raccogliere i frutti di ciò che semina: premio Ubu come miglior under 30, teatri pieni con Roman e il suo cucciolo di Alessandro Gassman e ottime recensioni per Razzabastarda, tratto proprio dalla stessa piece teatrale.
Adesso è in scena anche Sullo stress del piccione, opera tratta dal suo blog Storie bastarde. Un po’ Bukowski, un po’ Easton Ellis. Ma soprattutto Giovanni Anzaldo.
In mezzo tanta manovalanza dello spettacolo: animazione nei centri commerciali e feste per bambini. Perché solo con la cultura, non sempre si mangia. Ma se si arriva a odorare l’Oscar, evidentemente, ne vale la pena.
27 anni e tanta gavetta. È una bella sensazione
27 tra due mesi, non esageriamo.
Ti sei già sbronzato, da quando l’hai saputo?
Sì, ma non me lo ricordo. A parte gli scherzi devo iniziare a dosare le sbronze. Sto invecchiando, devo puntare sulla qualità delle mie maratone alcoliche anziché sulla quantità. Non di sole Tennent’s vive l’uomo.
Dai centri commerciali, mascherato da mascotte della Roma, a una poltrona vicino a Scarlett Johannson nella notte che conta. Immagina: riesci a dormire?
Il top sarebbe andare alla cerimonia degli Oscar vestito da “Romolo” e magari durante un momento di distrazione allungare una zampa verso Scarlett.
Ma la verità è che mi guarderò la cerimonia in internet, impazzendo per cercare una diretta streaming perché sono così sfigato che non ho neanche Sky.
Siamo scaramantici e quindi diciamo che non accadrà. Ma se il Capitale umano dovesse arrivare in fondo, qual è la prima cosa che farai?
Prenderò una buona bottiglia di vino. Oppure offrirò delle buone bottiglie di Peroni ai miei amici
Dove vivi adesso?
A Roma, la città della Maggica.
Però sei di Torino, giusto?
Si, come il torrone.
E non pensi sia ora di cercare una villa a Beverly Hills?
Brad (Pitt) si sta muovendo per me. Mi ha consigliato un paio di ville. Mi fido molto di lui, è una persona di gran cuore.
Quindi hai definitivamente svoltato?
Si, l’angolo. Ora c’è una rotonda, devo dare precedenza a chi la sta già percorrendo, giusto?
Proviamo a essere seri? Si può dire che Razzabastarda è stato la svolta? E che Gassman è il tuo Guru?
Razzabastarda mi ha dato la possibilità di lavorare per cinque settimane senza interruzione, di approfondire un personaggio, di dargli tutte le sfumature necessarie, ma soprattutto mi ha dato quel poco di visibilità necessaria che occorre avere per fare questo mestiere.
Fatto il primo passo è meno difficile fare gli altri.
A Gassman devo tutto, mi ha fatto fare un protagonista a teatro e al cinema.
Torniamo al presente. Qual è la differenza tra l’Italia di Sorrentino e quella di Virzì?
Entrambe parlano di un decadimento. Quella di Sorrentino è una parabola sulla morte, sul vuoto cosmico che attanaglia una generazione che non ha più nulla da dire, mentre il film di Virzì racconta la crisi di quella stessa generazione vissuta dai figli. O meglio, i figli pagano le conseguenze dei “grandi”.
Ma è molto più di questo: è una riflessione sulla crisi dell’uomo e la vittoria del dio denaro.
Quale riconosci di più?
Il Film di Virzì, perché sono spudoratamente di parte.
E quella de Sullo stress del piccione, il tuo spettacolo?
Il mio spettacolo parla dei miei coetanei, quei quasi trentenni che vivono “alla giornata”, non perché sia cool, ma perché non c’è altra scelta. Parlo delle nostre debolezze, dei nostri eccessi e, soprattutto, dei nostri sbagli.
È una cronaca da bar, la mia unica trincea.
Perché tu nasci macellaio e finisci a fare lo scrittore…
Io vorrei scrivere la biografia di Mario Anzaldo, mio padre, macellaio. La storia della mia famiglia: altroché Gep Gambardella.
- “Lo sai che Babe il maialino coraggioso te lo mangi ogni giorno nel panino?”
- “Non è vero”
- “ Si, Babe il maialino coraggioso è un prosciutto”.
Questo è un dialogo avvenuto all’età di sette anni tra me e le mie sorelle. La inizierei così, la mia storia.
Essere figli di un macellaio – due macellai, in realtà, lo è anche mia madre – ha i suoi pro ed i suoi contro.
Dei tuoi riferimenti sul grande schermo hai parlato più volte, sappiamo che ti piacciono molto Elio Germano e Pierfrancesco Favino. Ma avrai anche dei punti fermi letterari…
Mi piacciono Tolstoj, Dostoevskij ed Hemingway.
Leggendoti sul blog, mi aspettavo Bret Easton Ellis. Dai, di la verità. Qualcosa di più pop?
Sì, Fabio Volo.
A parte tutto, Fante, Kerouak, ma anche Murakami, Irvin Welsh e Reyes. Più qualche testo teatrale, tra cui Conor Mcpherson. Ma sono dedito alla masturbazione, ed è questo quello che conta.
A 27 hai provato tutto: cinema, teatro, televisione. E ora sei anche scrittore e regista. Sai anche giocare a calcio?
Il mio primo allenatore assegnava il ruolo da ricoprire in partita in base al modo di correre durante gli allenamenti. Nella prima partita avevo la maglia numero 11, nella seconda ero in panchina.
Quali delle due scelte era quella giusta? Ovviamente la prima, perché io ho lo scatto di Maradona, Il fascino di Cassano, Il vomito di Messi ed i problemi di alcool di Adriano.
Mettiamo da parte le stronzate. O almeno proviamoci. È difficile vivere di cultura?
È difficile se la cultura non rappresenta la forza di un Paese. Quindi si, in Italia è difficilissimo.
Provi ad essere un intellettuale-manovale…
Ho fatto ragioneria con pessimi voti e non ho una gran manualità. Però so fare tutto l’alfabeto ruttando.
Se fossi Matteo Renzi, cosa faresti?
Un corso di Inglese.
Ecco, appunto…
Andrea Dotti
@twitTagli