Le peggiori squadre in Serie A dal 1990 a oggi

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Nel calcio, uno si può consolare cogliendo l’aspetto grottesco. Si potrebbe, per esempio, andare a verificare quali squadre han fatto la figura peggiore negli ultimi 23 anni di massima serie, ispirati da quello che verrà ricordato come il leggendario…

PESCARA 2012-2013 (22 punti in 38 giornate)
Uno di quei casi in cui lo sconfitto ti fa pena, ti verrebbe voglia di aspettarli a fine partita e offrirgli un gelato. La retrocessione del Pescara inizia nel giugno dell’anno prima, quando Zeman chiude la festa promozione:
– “Ciao, io vado”.
– “Ciao Mister! Ciao grande! Pescara ti ama!”.
– “Sì, ok, ma io vado”.
– “Grande il boemo, sempre morigerato! Un esempio. Una guida per i giovani!”.
– “No, io vado a Roma”.
– “Ah”.

bjarnason vichingo drakkar“Eh va beh, il boemo ha rifatto Zemanlandia in miniatura, l’anno prossimo sarà dura, ma abbiamo un sacco di giovani di belle speranze tipo Ciro… Ciro… Cos’è quella valigia, Ciro? Ah, vai al Genoa? A fare il titolare? Ah, vai al Genoa a imbullonarti in panchina, capisco. Ma sì, le trofie al pesto sono un’ottima ragione. Ciao Ciro, ciao”.
La scena si ripete con Insigne, che va a fare la riserva di Pandev al Napoli (già meglio che il sostituto di Borriello, per carità, ma insomma…) e con Verratti, strappato con una sacca di dobloni da quei maramaldi del Paris Saint Germain. 
Nel mentre arrivano giocatorini non troppo coriacei, tra cui spicca il nipotino di Thor IlMartelloDiDdddio, all’anagrafe Birkir Bjarnason, che dopo aver parcheggiato il Drakkar sul melmoso Adriatico si è distinto per una capigliatura biondo abbagliante degna di un tamarrissimo chitarrista gothic-metal.
Due pareggi in tutto il girone di ritorno (Palermo e Roma) raccontano molto, ma non quanto il conto dello psicanalista di Mattia Perin e Ivan Pelizzoli, malcapitati portieri entrati in feroce depressione.

ANCONA 2003-2004 (13 punti in 34 giornate)
L’Ancona di quell’anno ha un grosso merito: dimostrare quanto Mario Jardel, bomber europeo di razza già alle dipendenze di Porto, Galatasaray e Sporting Lisboa, fosse diventato una chiavica siderale.
Ma andiamo con ordine. L’idea geniale che percorre la riviera del Conero è la seguente: prendiamo un po’ di vecchietti bolliti: con le grandi sarà un macello, ma qualche partita con l’esperienza la riusciamo a raggranellare.
Viene allestito un ospizio in maglia biancorossa: Dino “spremutello” Baggio (33 anni), Maurizio Ganz (35 anni), Darione Hubner (36 anni, di cui molti da fumatore), Milan Rapaic (30 anni), Paolino Poggi (32 anni), Eusebio Di Francesco (35 anni). Ad essi viene affiancato il talentino Goran Pandev (20 anni), sperando che l’età media basti a infinocchiare la realtà dei fatti, assieme al portiere della nazionale svedese ex Celtic Glasgow Magnus Hedman (pareva un buon acquisto).
Non bastasse tutto questo coacervo di insipienza, viene aggiunto, ciliegiona sulla torta, appunto Mariolone Jardel, che nel frattempo ha scoperto l’unica neve che può esserci in Brasile: quella che ti sequestrano negli aeroporti. Titoloni sui giornali al suo arrivo, quattro presenze, nessun gol.
Dulcis in fundo, l’Ancona non riuscirà a reggere il monte ingaggi del suo cimitero di elefanti e fallirà: 2 vittorie, 25 sconfitte, 21 gol segnati e 70 subiti.

TORINO 2002-2003 (21 punti in 34 giornate)
Il capolavoro della coppia d’assi Romero-Cimminelli va in scena nella Stagione del Signore 2002-2003. Il Toro parte gagliardo, disputando qualche partita di Intertoto ed uscendo per mano del Villareal.
I tifosi, illusi con il solito mantra del “ricostruiremo il Filadelfia”, vengono trascinati per un campionato di tregenda: pesantissima la scoppola nel derby (4-0 dagli odiati rivali juventini), poi il 6-0 rifilato dal Milan (con Inzaghi che, segnato il 6° gol, esulta senza ritegno dimostrando la sensibilità di Hannibal Lecter).
Per questo motivo, il Milan sarà atteso al Delle Alpi quasi con furore, per la gara della verità: andrà male, e i tifosi granata reagiranno nel peggiore dei modi distruggendo mezza Maratona. In quella stagione si segnalano Cristiano Lucarelli, una rete in 26 presenze (record negativo assoluto per l’attaccante livornese) e Stefano Fattori, autore di questa perla nel derby.

Il 4 maggio di quell’anno, però, avviene una delle più commoventi manifestazioni della storia dello sport italiano: 50.000 granata, appena retrocessi e ulteriormente umiliati, sfilano per il centro del capoluogo piemontese in una marcia attraverso i sancta sanctorum della loro fede. Le rovine del Filadelfia, il cippo a Gigi Meroni, piazza San Carlo, la stele di Superga.
È una marcia dolente e composta, più amareggiata che arrabbiata. Quel Toro, guidato da uno juventino dichiarato e gestito grottescamente da chi aveva investito – uccidendolo – l’ultimo fuoriclasse della storia granata, ha i giorni contati: fallirà due anni dopo.
Non è entrato però nella mitologia di quel campionato, perché a simboleggiare l’incompetenza calcistica aveva provveduto il…

COMO 2002-2003 (24 punti in 34 giornate)
Enrico Preziosi si affaccia al Grande Calcio ancora sprovvisto delle ventiquattrore ricolme di mazzette per comperare questo o quel finale di campionato. La presidenza del Genoa non è ancora nei suoi piani e quel ramo del Lago di Como è in festa per il ritorno alla massima serie, dopo la doppia promozione: in due anni, prima la promozione dalla C1, e poi la vittoria della Serie B (dominata in lungo e in largo grazie a Lulù Oliveira). La Serie A li attende a braccia aperte (e soprattutto i tifosi fiorentini, che escogitano il leggendario striscione “Voi comaschi, noi co’ le femmine”).
Preziosi commette l’errore di tutti i presidenti debuttanti (o molto smaliziati): smembro la squadra (ma leggasi anche: faccio cassa) e faccio una mitragliata di nuovi acquisti. Tra essi risplendono (?) Nikola Lazetic, Vedi Music, Nelson Abeijon, Sesa Bjelanovic (mamma mia) e l’attaccante Benny Carbone.
Le prenderanno a destra e a sinistra, retrocederanno in B indecorosamente e quindi in C1: decaduti in terza serie, saranno costretti a portare i libri contabili in tribunale. Preziosi, intanto, stava già percorrendo la Milano-Serravalle per insediarsi a Genoa e diventare croce e delizia della tifoseria rossoblu.

NAPOLI 1997-1998 (14 punti in 34 giornate)
L’annata del famigerato rigore di Iuliano su Ronaldo vede nel Napoli la squadra materasso: Pino Taglialatela è lo sventurato portiere della compagine azzurra, che l’anno precedente si era aggrappata alla qualità di Fabio Pecchia (in estate trasferitosi alla Juventus Campione d’Italia per 10 miliardi di lire).
Pecchia non farà granché in bianconero; in compenso il Napoli sprofonderà, con un miserando ultimo posto dopo 33 anni di massima serie: non bastano Roberto Fabian Ayala in difesa e una coppia teoricamente discreta in attacco formata dal vecchietto Igor Protti (lo ritroveremo tra poco) e da un promettente Claudio Bellucci. 
Il cammino è una via crucis, con quattro allenatori cambiati (perfino Carletto Mazzone e i suoi modi non esattamente oxfordiani nulla potranno) e il San Paolo sempre più deserto. 
Unica medaglia, i due pareggi strappati in trasferta, 0-0 a San Siro contro il Milan e addirittura 2-2 al Delle Alpi con la Juventus futura vincitrice.

bari_trenino_todayBARI 1995-1996 (32 punti in 34 giornate)
Come i più attenti avranno notato, 32 punti non sono una cifra ridicola per retrocedere: hai fatto il tuo, ci hai provato, non è bastato.
Per la verità il Bari è (assieme al Como) l’unica squadra tra quelle qui menzionate a non aver terminato all’ultimo, malinconico posto. Retrocedette da quartultima, infatti, a cinque lunghezze dalla zona salvezza: quell’anno ad occupare il 18° (e ultimo) posto della graduatoria aveva provveduto il Padova, fanalino di coda a 24 punti. Perché il Bari, allora?
Perché riuscire a retrocedere nonostante si annoveri il capocannoniere della Serie A tra le proprie fila non è da tutti. Igor Protti aveva esultato ben 24 volte in quella stagione, al pari del laziale Beppe Signori; ma a differenza della punta ex Foggia, il nostro eroe aveva tirato solo 5 rigori (12 il biancoceleste). 
Gli annali – e la leggenda – incoronano il solo Protti. Il Bari centrò l’impresa di retrocedere comunque, grazie alla seconda peggior difesa del torneo, 71 gol subiti in 34 giornate (il Padova ultimo, comunque, arrivò a 79 reti incassate). Un capolavoro.

BRESCIA 1994-1995 (12 punti in 34 giornate)
Due sole vittorie, sei pareggi: il resto, batoste. A riuscire nell’impresa fu il Brescia del neopresidente Gino Corioni, insediatosi due anni prima alla guida delle Rondinelle.
Il santone Mircea Lucescu aveva timonato i lombardi per ben due volte dalla Serie B alla A, e quest’anno i presupposti per una salvezza tranquilla c’erano tutti. Pronti via, il calendario è avverso: Juventus e Inter nelle prime tre giornate. Eppure il rumeno, affiancato dall’italiano Adelio Moro, se la cava: 1-1 coi bianconeri, 0-0 coi nerazzurri. 
Poi si spegne la luce (“la Lucescu“: chiedo perdono, ho dovuto scriverlo, è stato più forte di me) e inizia la grandine. 
Verranno battute solo Reggiana e Foggia (peraltro, pure loro retrocesse a fine anno); Corioni proverà a correre ai ripari, ingaggiando un nuovo allenatore: Gigi Maifredi. Stranamente, le cose non andarono meglio.

LECCE 1993-1994 (11 punti in 34 giornate)
A dispetto dell’apparenza, non è il peggior punteggio assoluto: infatti, il ’94/’94 fu l’ultimo campionato in cui la vittoria valeva due punti, ed il Lecce lo salutò con 3 vittorie e 5 pareggi.
D’Accordo, il Brasile di Svezia ’58 era un tantino diverso, ma con i valori di un anno dopo i punti sarebbero stati 16.
La sostanza, e cioè la retrocessione con ignominia, non sarebbe invece cambiata: peggior attacco (28 gol fatti) e di gran lunga peggior difesa (72 subiti), i salentini schieravano il brasiliano Gaucho Toffoli (5 presenze, zero gol, molte lacrime dei tifosi) e André Gumprecht (ex Bayer Leverkusen, inutile come un termometro a mercurio in Antartide). 
Nonostante tutto, quel Lecce stabilirà un record positivo: il 5-1 rifilato all’Atalanta è il più netto successo dei giallorossi in Serie A della loro storia.

Umberto Mangiardi
@UMangiardi

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