XX settembre: l’oblio immeritato della laicità

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C’è una data nella storia dell’Italia che sconta un immeritato oblio nonostante la sua non secondaria importanza. Il passare dei decenni e il susseguirsi di avvenimenti e date certamente più importanti per la storia patria – il 4 novembre, il 25 aprile, il 2 giugno tanto per citarne alcune – ha relegato il 20 settembre 1870 ad una data qualsiasi, persa nei libri di storia.
Eppure il 20 settembre meriterebbe di essere festeggiato e commemorato perché rappresenta nella storia dell’Italia una svolta epocale. La fine del potere temporale del Papa, la fine dello Stato Pontificio, l’annessione dello stesso al neonato Regno d’Italia e il sigillo di ceralacca su quel sogno unitario cullato dai Padri della nostra Patria.

Quello che sappiamo del 20 settembre è quello che ci raccontano a scuola, quando ce lo raccontano. Un varco nelle spesse mura Aureliane all’altezza di Porta Pia, gli sbuffi di fumo delle battaglie ottocentesche, le detonazioni dei moschetti, la corsa a suon di fanfara dei Bersaglieri con i loro inconfondibili piumetti al vento e poco altro.
Attorno a quell’episodio, dal punto di vista bellico non certo degno di essere ricordato nei manuali di strategia militare – uno scontro vero e proprio non ci fu vista l’arrendevolezza dichiarata delle truppe pontificie – c’è molto di più.

Roma, deve evidentemente essere scritto nel suo destino, a intervalli regolari è al centro di qualche movimento di conquista. Brenno, Annibale, perfino Giulio Cesare, Attila, Alarico I, i Lanzichenecchi, Mussolini. Un po’ tutti, con alterne fortune, hanno cercato di conquistare l’Urbe eterna.
E non stupisce che anche il sogno dell’Unità d’Italia dovesse passare e concludersi con la conquista di Roma, destinata fin dal 1861 a diventare capitale del Regno.

Senza scendere troppo nel dettaglio, nei nove anni che precedono il fatidico 20 settembre prima della macchina bellica si mosse quella diplomatica. Carteggi con la Santa Sede e con gli alleati francesi, più volte nella storia custodi dello Stato Pontificio.
Nessuno avrebbe voluto prendere Roma in armi se non Garibaldi e i mazziniani che vennero fermati diverse volte dalle truppe regie. Il Regno ai suoi primi vagiti chiedeva solo alla Francia di ritirare le truppe schierate a difesa di Roma, ma Napoleone III cercò di mantenere il piede in due scarpe per non dispiacere a nessuno.
Solo lo scoppio della guerra contro la Prussia e la successiva caduta del Secondo Impero francese fecero volgere gli eventi a favore degli italiani. Un corpo militare di circa 50.000 unità – composto da bersaglieri, carabinieri, dragoni, supportato dall’artiglieria e comandato dal generale Raffaele Cadorna – attese per tre giorni fuori dalle mura romane una dichiarazione di resa che non arrivò mai, finché alle 9 di mattina del 20 settembre i cannoni dell’esercito Regio aprirono la famosa Breccia di Porta Pia.
La timida resistenza delle truppe pontificie si esaurì dopo poco e presto venne la resa. Roma era presa.

Cavour non aveva fatto in tempo a vedere compiuto il suo sogno ma il principio di “Libera Chiesa in libero Stato” sembrava ormai avviato alla sua attuazione. Stato e Chiesa continueranno a guardarsi in cagnesco per i successivi 50 anni.
Sarà Mussolini a costringere l’Italia a genuflettersi di nuovo alla Chiesa firmando i Patti Lateranensi per accattivarsi l’appoggio dei cattolici e ottenere il salvacondotto per quel che verrà dopo.
Il 20 settembre cessa di essere una ricorrenza proprio con quel trattato e, se non fosse per una targa nelle principali città italiane e per qualche sparuta commemorazione, probabilmente non ce ne ricorderemmo nemmeno.

Invece recuperare i valori che gravitano attorno a quel giorno e a quei giorni non guasterebbe. Se uno Stato fin troppo prono dinanzi a Santa Romana Chiesa si destasse e facesse proprio il leit motiv cavouriano certo non guasterebbe.
Perché, e ci perdoni Cavour, questo libero Stato non lo vediamo ancora ma questa fin troppo libera Chiesa la vediamo eccome.

A.P.
@twitTagli

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