Wanderlust – Introduzione

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Wanderlust è una parola dall’etimologia interessante: “to wander” in inglese non significa solamente viaggiare, o partire, significa vagabondare per il semplice gusto di farlo, di non stare mai fermi.
E “lust” non è “voglia” nel senso di volontà o interesse, ma è “passione” in un senso quasi sessuale.

 

Wanderlust è la malattia del viaggiatore, il bisogno ossessivo-compulsivo di vedere cose nuove, conoscere gente nuova.
È un senso opprimente di grigiore quando lo stesso panorama si affaccia alla finestra per più di qualche settimana, è il contare i soldi che si guadagnano in base alle miglia che si possono percorrere con essi, è spendere ore su wikitravel, sognando le tue prossime destinazioni, è sentirsi esaltati e in pace col mondo per il solo fatto di star montando su un aereo

 

Wanderlust è quando il viaggiare è fine a sé stesso, e il viaggio diventa più importante persino della destinazione.

Wanderlust è il titolo che ho deciso di dare ad un piccolo, o forse lungo, ciclo di articoli di viaggio. Ma se state cercando indicazioni turistiche, consigli su quale alleanza aerea è più conveniente se si viaggia abitualmente su certe tratte, o suggerimenti riguardanti attrazioni, o alberghi, siete sulla pagina sbagliata.
Wanderlust sarà una rubrica impressionista, dove i viaggi saranno descritti per pensieri estemporanei e sensazioni. Più flusso di coscienza che LonelyPlanet dunque: cosa ho provato la prima volta che ho visitato il Musee du Louvre? Quanto è vibrante la nightlife di Praga? Che sensazione dà sedersi sul masso di Kjerag in Norvegia?

Le opinioni espresse saranno, giocoforza, personali e personalizzate. Ci sarà qualche frammento di episodi imbarazzanti e qualche descrizione politicamente scorretta: certe città non vengono vissute veramente senza passare anche da una sbronza o da uno strip-club.

 

 

A coloro che vorranno accompagnarmi in questo percorso a salti e balzi in giro per il mondo, prometto un po’ più di emozioni rispetto al solito (dei miei articoli, s’intende). Parlerò di cosa ho provato visitando il museo memoriale di Auschwitz, assistendo a uno spettacolo di musical a Londra, girando per un parco nazionale in Canada e contemplando la salma imbalsamata di Vladimir Lenin nel mausoleo sulla piazza Rossa.

Ad esempio: una volta ho passato 10 ore in un aeroporto a Philadelphia perché ero senza dollari americani e gli ATM negli USA non leggono le carte chip.
Il mio record di ore sveglio è di 45, per evitare di finire sfasato per via del jet-lag. 
Girando l’europa dell’Est mi sono reso conto che se la guerra fredda l’avessero combattuta le donne oggi saremmo tutti a cantare l’internazionale bevendo Vodka, e comunque ci sarebbe di peggio; e se all’aeroporto di Mosca avere problemi perché al desk non parlano inglese ci può anche stare, all’aeroporto di Barcellona una cosa del genere non dovrebbe esistere.
L’Hofbrauhaus di Monaco è il pub più grande e famoso della città, ma ne esistono di più buoni; la torre della radio di Toronto la notte si illumina del colore del team che ha conquistato la palestra di Pokemon GO sita al suo interno, e nessuna Skyline di nessuna città americana ti fa sentire piccolo quanto il duomo di Colonia.

 

Questo è quello di cui si parlerà in questa rubrica.
Pronti a partire?

 

Luca Romano

 

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