
Quando mi hanno proposto di fare un’esperienza lavorativa di due anni in Brasile, per la precisione a Belo Horizonte, non avevo bene idea di dove sarei finito; avevo in mente i classici stereotipi ma non conoscendo nessun brasiliano, non sapevo bene cosa aspettarmi.
Ero spaventato, ma per come sono fatto non potevo non accettare.
Appena saputo della mia decisione, e dopo avermi spronato ad accettare, Domenico mi ha dato una missione: avrei dovuto scrivere qualche appunto sulla mia esperienza. Più che spiegare ai miei amici cosa sto vivendo, cosa che sto facendo, penso che qui sia interessante condividere cosa ho trovato, cosa mi ha colpito del Brasile, cosa si è confermato degli stereotipi e di cosa ci si può sorprendere.
Ricordo la curiosità di quando sono atterrato, avido come sono di posti nuovi, e in particolare per il Sud America, sconosciuto se non per musica e letture.
Mi han subito colpito i colori, tanta vegetazione verde (sono arrivato nella stagione delle piogge), ma anche il rosso della terra ricca di ferro. Non a caso BH (così abbreviata dagli abitanti, da leggersi “Be Agà”) è la capitale del Minas Gerais (tradotto Miniere Generali), e oltre a Fiat qui sono insediate le principali compagnie di estrazione mineraria.
Ricordo la strada stravolta dai lavori in vista della Copa, e una cosa che mi ha fatto dire “ma dove sono?!?”: pedoni che attraversavano l’autostrada. Autostrada, oddio, forse meglio dire Superstrada, però almeno non si paga il pedaggio.
La Copa: tutti dicono che i lavori sono in ritardo; qualcuno dice che ci saranno proteste, altri che si penserà solo al calcio. Una versione interessante è “dipende da come va il Brasile”. Qui tutti parlano di calcio, anche le ragazze sono orgogliose della propria squadra, e ognuno cerca di farmi tifare per il proprio team. A Belo Horizonte le squadre sono tre: il Cruzeiro, che ha appena vinto il Campionato, l’Atletico Mineiro (dove gioca Ronaldinho), che ha appena vinto la Libertadores (la loro Champions) e l’Americana, squadra che milita in seconda divisione.
Ho deciso che tiferò la squadra di chi per primo mi porterà allo stadio.
Dici Brasile e pensi alle spiagge, al Sole. Guardate un attimo il mappamondo, e notate quanto è esteso il Brasile. Praticamente un continente.
E io sono a 7 ore di macchina dall’Oceano.
Dici Brasile e pensi al Carnevale, come se fosse Carnaval tutto l’anno. In realtà mi sto confrontando con una realtà lavorativa professionale: si lavora tanto; certo, chi più e chi meno.
La maggior parte delle persone si alza alle 5/5.30 per arrivare a lavoro dopo almeno un’ora di viaggio in un traffico imprevedibile. Normalmente si lavora 8 ore e mezza, e poi ci si ributta nel traffico. Se non avessero il carattere che si ritrovano (devo ancora vedere un brasiliano sobrio arrabbiato), penso non potrebbero sopravvivere. Forse per questo quando esci dall’ufficio ti salutano con un “Va com Jesus”. Sono molto religiosi, e sui vetri posteriori delle macchine spesso capita di vedere scritte che ricordano al lettore quanto Gesù o la Vergine Maria siano importanti, e necessari, e vicini.
Dicevo, si lavora tanto, ma sempre in un clima sereno. C’è da lavorare tredici, quattordici ore? Sem problema. Saranno sempre pronti ad incrociati nel corridoio con un “Oi, Beleza?”. Questo, da gente che non conosci (insomma, il contrario di noi torinesi). Il massimo l’ho visto fare ad una ragazza che per rispettare una scadenza è stata in ufficio dalle 8 del mattino alle 18…del giorno dopo.
Un altro appunto sul mondo del lavoro: il contratto prevede 30 giorni di ferie, da dividere obbligatoriamente in 15 e 15, o 10 e 20; i sabati e le domeniche sono inclusi nel conteggio. Insomma, almeno quattro giorni “te li fregano”.
Accennavo al traffico. Ancora non ho capito quale demonio lo guidi. Al mattino posso impiegare 15 minuti così come il triplo per arrivare al lavoro, e finora so che mi è andata bene. Alcuni miei colleghi hanno impiegato 3 ore e mezza per rincasare. Sì, tre ore e mezza.
Può capitare di essere imbottigliati, fare coda, e dopo vedere che tutto si sblocca senza capire perché si era fermi. A volte un perché c’è, ed è una macchina ferma in mezzo alla strada.
BH è una citta con più saliscendi di San Francisco, e i motori sono parecchio stressati; e non dite a me che è perché son tutte Fiat.
A proposito: appena scoprono che lavori in Fiat ti chiedono come mandare il curriculum, se li puoi aiutare. Un taxista è arrivato a rintracciare il mio numero di ufficio per chiedermi se potevo fare qualcosa per suo figlio, che era un bravo ragazzo.
Una cosa che ancora non riesco ad accettare è la viabilità. Agli incroci non si può girare a sinistra: bisogna aspettare un retorno, in modo da avere la possibilità di imboccare la strada nell’altro senso di marcia, e dunque girare a destra. A volte dopo più di un chilometro. Per me torinese, abituato a viale e controviale, è una tortura.
La società brasiliana è la più multirazziale che abbia visto. Ci sono neri, bianchi, giapponesi, e ho anche visto qualche arabo. Tutti si rapportano senza dimostrare paure, differenze o rancori. Eppure nelle posizioni di potere ho visto solo bianchi, e uomini. È una società molto maschilista, i ragazzi a volte non approcciano le ragazze, le molestano.
Ovviamente non posso non parlare delle ragazze brasiliane. Non è vero che sono tutte belle; però quelle che sono belle… beh, sono di una bellezza senza senso. Gambe perfette, lato B sodo (molte sono scolpite in palestra), seni spesso rifatti, capelli lunghi e lucidi, sguardo da cerbiatta.Per entrare in discoteca, ci si mette in fila ordinata, aspettando il proprio turno. Ovviamente c’è anche qui chi conosce e passa davanti, ma molto meno degli standard italiani. Ci si mette in coda, mentre ambulanti cercano di venderti birre… e gomme da masticare.
Ho visto un ambulante accettare il pagamento di un panino con carta di credito. Che civiltà, direte. In realtà la carta di credito è un’arma a doppio taglio: tutti l’accettano, e in qualsiasi supermercato è possibile scegliere se pagare a vista, o in rate. Anche un paio di mutande.
Ci si indebita per tutto.
Come per la carta di credito, tutto ha due lati della medaglia. Ho visto povertà, poliziotti con il fucile puntato contro ragazzi, visto report su giovani rapinatori ammazzati senza troppi processi, sono stato perquisito per andare a ballare, e ho visto discoteche, palestre e negozi più moderni dei nostri.
Si dice che il Brasile è un posto pericoloso, per ora non ho avuto noie. BH è probabilmente più tranquilla di Rio e Sao Paolo, e io ho frequentato le zone migliori. Un occhio in giro lo do sempre, ma finora ho assistito solo a uno scippo (la scena è stata comica, da fumetto), e ho sentito i racconti di qualche collega derubata su bus o di fronte a casa.
A questo punto, il discorso di solito vira sul classico “Brasile, un Paese con contraddizioni ma affascinante”: un modo agevole di liquidare il discorso. In realtà sono qui da solo quattro mesi, e non posso dare un giudizio – anche perché sto vivendo con un tenore di vita alto, che distorce la mia percezione.
Posso dire che mi sto godendo tutto quello che sto vivendo: curioso come sono c’è sempre qualcosa da sperimentare e fare. Abito in una città di quasi sei milioni di abitanti. Quando esco dall’ufficio imbocco una rampa che mi sbatte in faccia uno sterminio di luci che si perde a vista d’occhio, e mi si allarga un sorriso.
Mi mancano i miei, gli amici, l’intimità di Torino. Per nulla al mondo tornerei indietro.
Lorenzo Cane
@twitTagli