Violenza di coppia: e se il problema fosse… la coppia?

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A proposito della ragazza barbaramente uccisa e carbonizzata a Roma, si possono fare alcune considerazioni sulla matrice culturale dietro all’evento. La via facile è quella di incolpare il sesso maschile (sarebbe stato ancora più facile se il criminale fosse stato di cultura e/o religione differente), in quanto intrinsecamente violento, o una presunta “cultura maschilista” che incoraggerebbe e tenderebbe a giustificare questi crimini.
Di fatto, data la reazione unanime di media, politica, e opinione pubblica, riesce difficile individuare dove si anniderebbe questo misterioso patriarcato (termine tecnico femminista per definire la matrice culturale misogina nel suo complesso).

Esiste invece una cultura, assolutamente dominante in Italia è generalmente predominante anche all’estero, che a mio avviso ha molto a che vedere con questo tipo di crimini, ma che non viene mai tirata in ballo, permettendone il prosperare e quindi il ripetersi di atti orrendi, ed è la cultura della coppia e della famiglia.
Il concetto che un legame sentimentale stabile, specie se benedetto da prole, vada a costituire qualcosa di più di una semplice somma di individualità, introduce un elemento di colpa aggiuntivo in colui o colei che decide di interrompere una relazione: la colpa cioè di aver ucciso questa entità assolutamente astratta, ma socialmente percepita, che è la coppia, o la famiglia.
Appare dunque evidente che quanto più una cultura dà importanza all’amore coniugale, e quanto più uno Stato tende a definire la famiglia, e non l’individuo, come nucleo fondamentale della struttura sociale, tanto più il perpetratore di un crimine passionale o coniugale vedrà il suo agire giustificato dalla necessità di vendicare la scomparsa di tale entità.

Il femminismo, pur criticando la cultura della famiglia in quanto limitativa della libertà di scelta della donna, non attribuisce ad essa responsabilità per quanto riguarda la violenza e l’omicidio coniugali: questo dipende da un lato dalla natura comunque reazionaria e conservatrice del femminismo (come tutte le ideologie interclassiste), dall’altro dal rifiuto di voler considerare la violenza coniugale come fenomeno sociale e non di genere: combattere un patriarcato immaginario e maschilista è indubbiamente più facile che cercare di riformare dogmi quali l’amor cortese e la procreazione come dono.

Se però davvero si vuole contribuire a creare una società dove la violenza di coppia incida meno sulla cronaca nera nazionale (poco importa qui che l’incidenza avvenga solo qualora la vittima sia donna), allora questo è ciò che occorrerebbe fare: rifiutare il concetto di coppia quale unica forma possibile di legame sentimentale, combattere la cultura di stampo cattolico e conservatore della famiglia, concedere dignità sociale ad ogni forma di sessualità libera e ad ogni forma di relazione tra qualunque numero di individui adulti fintantoché basata sul consenso; in generale ritornare alla cara vecchia matematica che suggerisce che uno più uno sia uguale a due, e a nulla più che due.
Nessuna forma di legame o relazione costruisce qualcosa di più che la felicità di chi vi prende parte, e in essa non vi è niente di più che una somma di individui.

Quando tutti arriveremo a questa realizzazione, sparirà ogni forma di possesso volta a preservare l’esistenza di un’entità di cui dovremo dimenticarci il significato: quel giorno spariranno anche le violenze e gli omicidi coniugali e passionali. O almeno, si può immaginarne una diminuzione.

Luca Romano

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