Vasco Rossi è tornato a far parlare di sé in occasione del suo nuovo show, partito dallo Stadio Olimpico di Roma il 25 giugno. In quest’occasione il cantautore ha parlato di una svolta stilistica, dichiarando che: «A forza di fare rock duro è inevitabile finire nel metal, è un’evoluzione naturale».
Dichiarazione di un certo peso, non c’è che dire. Al di là di facili quanto opinabili giudizi di valore (del tipo, «amo Vasco», «Vasco mi fa schifo», etc.), la domanda che tutti si sono fatti è quando, dove, come e perché sia avvenuta questa svolta. Ammesso – e non concesso – che ci sia stata.
In realtà a ben guardare Vasco Rossi si è oramai fossilizzato da diverso tempo, una decade almeno, su uno stile ben definito e sostanzialmente pop rock. Una via che, piaccia o meno, è una via personale, frutto di un’esperienza pluritrentennale sui palchi e in studio, al rock italiano di tipo radiofonico – per non dire commerciale.
La formula, anche se ha iniziato a diventare stantia, resta un frutto di un’elaborazione portata avanti con diversi e notevoli compagni di viaggio, tra cui lo stimabile chitarrista Solieri.
Ha funzionato e funziona, c’è poco da discutere. Le vendite vanno e gli stadi continuano a riempirsi: di certo non si raggiunge un risultato del genere campando unicamente di rendita sul vecchio repertorio.
Sulla qualità o la bontà di tale stile possiamo discutere fino a domani l’altro, ma andremmo da poche parti. Il punto non è se la musica di Vasco sia bella o meno, di alta o bassa qualità.
Il punto è che il suo stile è distante anni luce non solo dal metal, ma anche dal rock cosiddetto duro (una volta si chiamava hard rock, ma sorvoliamo).
Uscirsene con la frase «Sono un duro che dura» è perfettamente normale, è nello stile del personaggio, fa parte dell’autorappresentazione ribelle (o pseudotale) che il Blasco ha sempre dato di sé.
Può far ridere in bocca a uno che ha oramai sorpassato la sessantina – e che di certo non è un Mick Jagger o un Bruce Springsteen – ma tant’è. Altra cosa è parlare di svolte stilistiche laddove queste svolte non ci siano.
Ma cerchiamo di proseguire con ordine.
Vasco Rossi ha in effetti avviato la sua carriera da provocatore e numerosi suoi brani presentano, a livello di arrangiamento, un appeal irriverente, provocatorio ed evidenti influenze hard rock. Qualche esempio? Asilo “Republic” (dall’album Colpa d’Alfredo, 1980), o Dimentichiamoci Questa Città (dal successivo Siamo solo noi, 1981), o Sono ancora in Coma (da Vado al massimo, 1982), o Gli Spari sopra (dall’album omonimo del 1993, ma cover di un brano degli An Emotional Fish).
Insomma, l’hard rock e Vasco non sono due terreni integralmente incompatibili; certo è che comunque anche l’approccio più duro e strafottente del nostro appare un lontanissimo parente di quello anglosassone degli stessi anni.
Ciò, di per sé, non è né un bene, né un male, ma è semmai simbolico di una capacità: quella di aver saputo parlare a un pubblico italiano meno avvezzo al rock più integerrimo e magari lontano dalle storie, dai vissuti e dalle esperienze che stavano alle spalle dello stile e delle correnti d’oltremanica. Il giudizio di valore su questo fatto può variare, ma stringi stringi la sostanza è quella.
Ma – e qui vengono i nodi al pettine – anche quel Vasco di inizio carriera tendeva a sottrarre sempre più durezza al proprio sound per dare sempre maggior peso a brani più spendibili e accattivanti in cui l’approccio al rock era sempre più moderato e scanzonato.
In altri termini: sempre meno dell’hard rock che c’era (poco) e sempre più del pop rock/rock d’autore (tanto) che c’è invece sempre stato. Questa è la ricetta di Vasco, checché lui ne dica. Il suo pubblico ha premiato questa scelta e si è infoltito sempre di più, la stessa percezione di cosa fosse “rock” in Italia è in buona parte mutata con lo stile di Vasco Rossi.
La fine degli anni ’90 lo ha visto consacrato a idolo definitivo delle folle, grazie anche agli otto dischi di platino ottenuti con la raccolta Canzoni per me e alla gigantesca affluenza alla sua data all’Heineken Jammin’ Festival, entrambe del 1998.
Il nostro ha mantenuto così l’immagine di “rocker maledetto all’italiana” (anche se oramai l’attempato cantautore di ribelle e di maledetto aveva sempre meno).
Stendiamo invece un pietosissimo velo sul prosieguo della carriera che, negli ultimi dieci anni, ha visto il Blasco riproporre semplicemente la formula della consacrazione – che dimostra sicuramente abilità e acume commerciale, ma (concedetecelo) scarso estro e senso artistico.
In tutto questo, di metal non c’è niente e non potrebbe essere che così. È vero che a forza di incattivire un sound rock si può finire, presto o tardi, nel metal. Ma qui la storia non è andata così, anzi: il sound si è alleggerito, e ora come ora si può al massimo arrivare al pop rock, se non al pop stesso.
E non basta aver studiato una scaletta un po’ più dura del solito per il nuovo tour. Né l’aver reclutato nella formazione un batterista come William Martin Hunt, che ha legato il suo nome agli Evanescence (band peraltro fin troppo mainstream, e dall’appeal metal assai ridotto) e ai Black Label Society – oltreché a diverse altre band della scena hard rock/metal come turnista o come sostituto.
D’altronde basta ascoltare la produzione più recente di Vasco per rendersene conto: L’Uomo più Semplice e Dannate Nuvole sono lontane anni luce dal metal e dal cosiddetto rock duro.
La buttiamo lì: non è che le sparate di Vasco siano un goffo tentativo di riportarsi in qualche modo al centro del dibattito? (sì, è una domanda retorica). Nessuno può sapere se l’idea originaria sia di Vasco o (più verosimilmente) dei suoi promoter, ma il concetto è semplice: vi abbiamo beccato (non che ci volesse Poirot, intendiamoci). Piantatela di lanciarvi in deliranti dichiarazioni e/o di cercare occasioni squallide per far parlare di sé (qualcuno rammenta, tanto per fare un esempio, la querelle con Nonciclopedia?).
Siete ancora capaci di riempire stadi e non avete perso fette considerevoli di pubblico: accontentatevi. Spararle grosse così, tanto per far rumore, fa sorgere il sospetto che il tutto sia una bolla di sapone. E che non abbiate altre armi..
doc. NEMO
@twitTagli