Vado in California – sì, sì, parliamo ancora del caso della settimana

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Dal momento che è esplosa la polemica, vorrei spiegare perché quest’anno ho aderito, per la prima volta, all’iniziativa Facebook per sensibilizzare l’opinione pubblica sul cancro al seno.
Ho ricevuto l’invito da una persona che lotta da anni contro una malattia molto dura. Lo fa con una “leggerezza” che non è superficialità ma sorriso (alla vita, su se stessi) e segno brillante di intelligenza. 
Ho percepito un bisogno di attenzione, non pretenzioso, non vittimista: un bisogno di attenzione umana.

Poi ho ripensato alle precedenti campagne: ne avevo scoperto il significato sui giornali, non prima. Mi avevano incuriosita ma non convinta: trovavo di cattivo gusto l’allusione sessuale. Non mi sembrava femminile ma un po’ volgare. 
Quella di quest’anno è acuta: seguendo le istruzioni si ottengono post (come il mio “Vado in California per 17 mesi”) con messaggi verosimili. Se è facile che qualcuno fraintenda (e mi hanno risposto diversi: “Quando parti?”), è ancora più facile che molti rimangano colpiti: un viaggio per il mondo è più interessante di una borsa sulla lavatrice o di un piede gigante.

Il pezzo di Luca Romano era strepitoso: vorrei raccogliere le macerie di questa formidabile demolizione; l’autore si rivolge all’uomo medio, io voglio pensare alla gente in gamba. 
Il senso di questa campagna – meglio, di come vivo io questa campagna – è “lasciati impressionare”. Ti colpisce la mia partenza improvvisa? Sono contenta, sei affezionata o affezionato a me.
Questa stessa premura, questo brivido che hai provato per un secondo, “conservalo”: la sofferenza di migliaia di donne ti chiede (almeno) quel brivido, di un secondo. Il tempo di realizzare che il problema non ti appartiene (forse): la tua ragazza sta bene, le tue amiche sono al mare, tua madre lavora.

Mi piacciono le cose che ci rendono più umani e un secondo di brivido nel trambusto di FB potrebbe essere tra quelle. Se non lo sarà, poco male, avrò sprecato sei parole; se si trasformerà in pietà o carità sarò felice di aver seminato. 
Vedo nella catena di post di questi giorni la “leggerezza” e la fiducia nei piccoli gesti di chi mi ha inoltrato l’invito. E poi apprezzo l’efficacia contagiosa dell’azione. Non sapevo che nascesse da femministe oltranziste (né l’ho verificato: mi fido) ma devo riconoscerne la genialità. Mangio pane e social, passo le mie giornate a pensare come farsi leggere su Facebook e Twitter: i promotori ci sono riusciti eccome e la viralità è buona.

La comunicazione però ha un limite da curare: sfrutta abilmente l’effetto “mistero”, ma non lo supera.
Serve una tirata come quella di Luca o una googlata per chiarirsi le idee. Ma non ci si può aspettare chissà quale alta filosofia del linguaggio da una catena su Facebook: mi va bene così, mi accontento; se qualcuno proverà quel brivido sarò contenta.

Lucia Caretti
@twitTagli

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