Tv pubblica: un confronto con l’Europa per migliorare la Rai

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Qualche tempo fa abbiamo visto perché il canone Rai deve essere pagato, perché aumenta di anno in anno e come fare per ottenere l’esenzione.
Ora possiamo fare un confronto tra le varie realtà, limitandoci al panorama europeo per ragioni economiche e sociali.
Il nodo gordiano della questione è la pubblicità: in linea di principio, in un mondo ideale una televisione pubblica o viene sostenuta tramite le tasse del popolo oppure si autosostenta tramite pubblicità.
Si tratta di un’alternativa, prima di tutto sul piano (ideo)logico: se esigo il pagamento da parte dei cittadini, non devo rispondere ad altri che ai cittadini stessi; non sono ossessionato dall’audience perché non posso “vendere” i miei ascoltatori; posso permettermi di fare programmi senza andare a solleticare la componente becera della popolazione.

Diversamente, se non esigo nulla dal mio pubblico, io verrò sostenuto dalla pubblicità, ma dovrò fare in modo di avere percentuali di share molto elevate per garantirmi più introiti – e in questa situazione, non c’è deontologia che tenga: tutto quello che non è espressamente vietato è consentito.
In questo secondo caso lo spettatore ha molto meno potere. Non è lui che mi paga, e se non gli va bene quello che trasmetto ha una sola soluzione: non guardare le mie trasmissioni e sperare di essere imitato. Se nessuno guarderà la trasmissione X, io sarò costretto a rimpiazzarla.

Ora: l’Italia è nella situazione mista. Incassa sia il canone sia i proventi della pubblicità.
Negli altri Paesi europei la televisione pubblica è regolata nel modo seguente (fonte per i costi annuali, aggiornati al marzo 2014: Wikipedia):

GRAN BRETAGNA: LA BBC – In Gran Bretagna, la BBC costa 145.50 sterline (circa 175 euro) per la televisione a colori e 49.00 sterline (circa 60 euro) per il bianco e nero (nell’epoca del 3D, loro differenziano ancora sul bianco e nero: gli inglesi sono fantastici).
Chi evade la BEEB (il nomignolo del canone della BBC) incorre in sanzioni pesantissime, addirittura la custodia cautelare. 
Il colosso-BBC è stato fondato nel 1926: oggi gestisce 8 canali tv, 10 radio più altre 50 emittenti tv e radio locali. Il canone è l’unica fonte di sostentamento: sulla BBC inglese è vietata la pubblicità, e l’unico canale che trasmette spot è BBC World News, proprio a causa della sua caratteristica di essere trasmesso in tutto il mondo. BBC World News è d’altro canto esclusivamente finanziato tramite la pubblicità. 
La BBC è un sistema pubblico-privato fin dagli anni ’50, con rigorosa separazione tra corporation commerciale e canali pubblici. La BBC dipende da un Consiglio di governors e dalla Indipendent television Commission (di nomina governativa). 
Il parlamento controlla gli aiuti al sistema tv e la gestione dei contratti per l’utilizzo degli spazi. Un controllo molto blando: l’unico intervento in 76 anni fu ad opera di Margaret Thatcher, la quale vietò la diffusione dei messaggi terroristici dell’Ira. 
L’aplomb britannico è trasposto nei regolamenti interni: i programmi giornalistici ”devono offrire agli utenti un resoconto intelligente e informato dei temi in modo da consentire loro di farsi un’ opinione propria. Il giornalista può esprimere un giudizio professionale, ma non un’opinione personale, e il giudizio deve essere palesemente equo ed acuto. Il pubblico non dovrebbe essere in grado di capire dai programmi della Bbc quali siano le opinioni personali di presentatori e giornalisti”.

GERMANIA: ARD E ZDF DA UNA PARTE, TV LOCALI DALL’ALTRA- In Germania i canali pubblici sono due: Ard Zdf, più 8 canali regionali, alcuni dei quali gestiti con Francia, Svizzera e Austria. Questi canali costano 215,76 euro annui ad abitazione (rincarato rispetto allo scorso anno), a prescidere dal fatto che si possieda o no una televisione o una radio.
I due canali possono trasmettere pubblicità , ma solo nei giorni lavorativi, solo in una specifica fascia oraria (tra le 17.00 e le 20.00) e con un tetto massimo di 20 minuti al giorno. 
Sono i singoli Lander – e non Berlino – ad avere voce in capitolo attraverso i loro Consigli televisivi. Essi sono legati ai parlamenti regionali e alle diverse lobby o gruppi di interesse (imprese, scuola, associazioni).
Il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni ha solo il compito di gestire le frequenze dal punto di vista tecnico: non può nemmeno decidere se una nuova tv può o meno avere spazio.

LA FRANCIA E IL SISTEMA MISTO – In Francia l’emittente TF1 è stata privatizzata, mentre Antenne 2 e Antenne 3 sono rimaste pubbliche.
I cugini d’oltralpe hanno problemi politici simili ai nostri: il Conseil Supérieur de l’Audiovisuel (che è l’autorità garante) dovrebbe teoricamente essere esente da controlli politici, ma le nomine dei CdA delle due reti pubbliche vanificano gli sforzi.
Lì infatti siedono direttamente due parlamentari, assieme a quattro membri di nomina statale, ad altri quattro esperti nominati dal CSA e a due rappresentanti sindacali. 
La tassa per la tv ammonta a 123 euro (ricarato di 2 euro rispetto allo scorso anno; resta invece invariata la quota per i territori d’oltremare, ridotta a 74 €): dal 2009, poi, una riforma ha imposto lo stop agli spot (già prima comunque ammessi solo durante gli intervalli naturali dei programmi). La stessa riforma ha stabilito una tassazione dei guadagni pubblicitari delle emittenti private.

NEL RESTO D’EUROPA – Islanda (Ruv), Svizzera (Ssr Srg), Austria (Orf), Norvegia (Nrk), Danimarca (Dr e Tv2), Svezia (Svt) e Finlandia (Yle) hanno canoni abbondantemente sopra i 200 euro annui. 

  • In Islanda il canone ammonta a 213,50 euro: qui gli spot sono permessi sull’unico canale televisivo nazionale. 
  • In Svizzera addirittura 360,65 (pubblicità permessa).
  • In Austria il canone arrivava a 335,14 (con la pubblicità che varia a seconda della regione): una riforma recente ha differenziato il pagamento del canone a seconda del Land austriaco. Non abbiamo dati in merito, ma nulla ci fa propendere per un abbassamento dell’antico importo sotto la soglia dei 200 euro annui.
  • In Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca le tv pubbliche non trasmettono pubblicità: le tasse sono rispettivamente di 315,57, 232,47, 253,80 e 303,35 euro. Dallo scorso anno, il costo è invariato.

In Belgio il canone ammonta a 172,39 euro. La pubblicità è permessa e la Tv federalista fiamminga (Rtbf, Vrt e Brf) preleva l’importo direttamente dalla dichiarazione dei redditi. 
In Irlanda alla pubblicità si affianca il canone di 160 euro.
La Romania (Tvr) è l’unico Paese ad aver istituito una tassa variabile in base al reddito: si vai dai 12 ai 150 euro. È comunque permesso il finanziamento pubblicitario.
Anche Slovacchia, Albania, Bosnia, Croazia, Malta, Montenegro, Polonia e Repubblica Ceca adottano il sistema misto canone più pubblicità. A Cipro e in Grecia anche, ma il canone è addebitato sulla bolletta dell’elettricità.

Chi invece ha tolto la tassazione dedicata alla televisione sono l’Olanda (Netherland 1, 2, 3), il Portogallo, l’Ungheria e la Spagna.
In Spagna, per la precisione, la Rtve è  finanziata al 50% da fondi pubblici, mentre il resto dei costi è pagato da una tassa sui ricavi delle compagnie telefoniche, delle televisioni private e delle pay-tv. Rtve non può più fare raccolta pubblicitaria dalla riforma Zapatero del 2010.

Cosa trarre da tutto questo per l’esperienza italiana? Che il modello inglese è quello che dà maggiori profitti in un ottica di costi/benefici.
Come scriveva tempo fa Roger Abravanel sul Corriere della Sera (articolo linkato nella sezione “Altre Fonti”, in fondo), la scaletta da imporre a quel guazzabuglio che è la Rai Tv è la seguente:

  1. Levarsi di torno il fantasma-Berlusconi. Un fantasma che è assai presente, soprattutto nella testa degli antiberlusconiani.
    Da anni la governance della Rai ha una sola rotta: equilibrare ed omogeneizzare, il tutto dietro il vessillo labile della par condicio – “l’unica cosa che interessa ai politici nella Commissione di vigilanza” (cit.).
  2. Copiare lo statuto della BBC nelle parti in cui si stabilisce che l’ente deve “sostenere la cittadinanza e la società”, “promuovere l’istruzione e l’apprendimento”, “stimolare la creatività e l’eccellenza culturale”, “rappresentare il Regno Unito in altri nazioni”. L’equilibrio politico, in BBC, è dato per sottointeso: la qualità del prodotto televisivo deve essere elevata. Per questo l’organo di controllo della BBC (il BBC Trust) è composto da 12 membri non politici, selezionati tra gli esperti di televisione, o di discipline legali e sociali.
  3. Assumere autori migliori: non necessariamente “di più“; basterebbe “migliori”. Il fatturato di società come Endemol (proprietario: Silvio Berlusconi, per circa un terzo) ha nella cessione dei diritti sui format televisivi dei fondamentali capitoli alla voce “entrate”. Perché la Rai acquista da Endemol i format (anche programmi-bandiera della sinistra radical-chic come Che tempo che fa?), invece di produrne di originali per poi venderli all’estero e guadagnarci?
  4. Limitare (ma sarebbe meglio: eliminare) la presenza degli yes men, il cui unico merito è la fedeltà a chi li ha nominati.
    Le vie per raggiungere questo obiettivo sono tante, dall’elezione interna alla scadenza differita dei membri del CdA. Il fulcro della questione è eliminare l’ingerenza del Parlamento italiano.
  5. Una organica, seria, completa legge sul conflitto di interessi, per non dover più reagire manu militari alle truppe cammellate della tv privata di un imprenditore lombardo che decide di darsi alla politica.
  6. Una seria lotta all’evasione del canone, per essere meno soggetta ai capricci dell’auditel e dei pubblicitari, concentrandosi – come si diceva all’inizio – sulla qualità del prodotto.

Umberto Mangiardi 
@UMangiardi

Pubblicato il 30/12/2012 e revisionato il 13/03/2014

Altre fonti:
Corriere della Sera
La pulce di Voltaire
Fisco Oggi 

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