Tre scenari in cui il Brexit (nonostante il voto del popolo) non avverrà

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Il referendum cui i britannici sono stati chiamati a esprimersi era, come sappiamo, puramente consultivo. Il primo ministro dimissionario David Cameron, dopo aver negoziato con i vertici europei nuove condizioni per restare nell’Unione, aveva tuttavia promesso che la volontà del popolo sarebbe stata rispettata.
Dal punto di vista della mera tecnica, il voto non è quindi legalmente vincolante.
Dal punto di vista politico sarebbe però difficile ignorarne semplicemente gli esiti.
Su Vox, Dylan Matthews ha tratteggiato tre scenari in cui il governo britannico può aggirare la consultazione popolare senza violarla nei fatti.

SCENARIO 1: lasciare che sia la Scozia a impedire il Brexit

Un recente rapporto della Camera dei Lord sul Brexit ha delineato l’ipotesi che, in base allo Scotland Act del 1998, la legge sull’autonomia scozzese, il parlamento di Edimburgo debba essere chiamato in causa su qualunque misura che alteri i rapporti tra Ue e Scozia.
In particolare, il parlamento scozzese ha l’obbligo di legiferare in accordo con le norme europee. Il governo britannico avrebbe naturalmente la facoltà di non considerare il veto scozzese e di procedere con il Brexit, ma – secondo alcuni costituzionalisti – questo significherebbe mettere in discussione tutto l’impianto di devolution previsto per Scozia, Galles e Irlanda del Nord.

La Scozia, come già sta facendo, potrebbe accelerare il passo per indire un nuovo referendum sull’indipendenza, mentre in Ulster i repubblicani potrebbero muoversi per unificare l’Irlanda e riaccendere così il conflitto fra nazionalisti cattolici e unionisti protestanti.
Il primo ministro britannico, chiunque esso sarà, potrebbe perciò:

  1. annunciare che rispetterà i termini della devolution lasciando che i parlamenti regionali si esprimano sul Brexit, prima di invocare l’Articolo 50 sull’uscita dall’Unione;
  2. attendere che siano direttamente i parlamenti a votare e porre il veto.

Il governo, dichiarando di voler conformarsi al parere contrario dei parlamenti locali, potrebbe così salvare la faccia ed evitare il Brexit.

SCENARIO 2: indire un nuovo referendum

Si tratta dello scenario forse più complesso.
Dato che Cameron non ha invocato l’Articolo 50 del Trattato per l’uscita dall’Unione, sarebbe tecnicamente possibile temporeggiare – come Johnson e lo stesso Farage sembrano tra l’altro intenzionati a fare – per annusare l’aria che tira in Europa e capire così, prima dei negoziati ufficiali, se esista un’apertura degli altri Stati alle richieste britanniche, su tutte quella di rimanere nell’area di libero scambio.
Il governo potrebbe così chiamare nuovamente gli elettori a votare sull’ipotesi di un’uscita del Regno Unito alle condizioni profilatesi nei mesi di trattative informali.

SCENARIO 3: indire nuove elezioni

Come nel punto precedente, evitando di invocare l’Articolo 50, il cui processo è irreversibile e porta in maniera automatica all’uscita dall’Ue entro due anni, il governo, soprattutto alla luce delle dimissioni di Cameron, potrebbe indire in autunno nuove elezioni.
La campagna elettorale si trasformerebbe indirettamente in un nuovo referendum sul Brexit.
Tuttavia, come fa notare Matthews, non si capisce perché i conservatori, che stanno affrontando una scissione fra gli europeisti di Cameron e gli euroscettici di Johnson, debbano rinunciare a un mandato di governo che spirerà soltanto nel 2020.
Esiste infatti un’unica possibilità per i Tories di vincere nuove elezioni e questa contempla la leadership di Boris Johnson, che però si è posto a comando dell’ala pro-Brexit.
In pratica, questo scenario funzionerebbe solo se il Labour vincesse le elezioni.
Un harakiri dei conservatori è dunque assai improbabile.

Jacopo Di Miceli

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