TRANSASIA – Prologo: Chiacchiere in Georgia

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L’identità delle persone è stata cambiata, i fatti che seguono invece sono assolutamente veri.
Questo è la primissima parte di un racconto di viaggio: ne seguiranno altri, li pubblicheremo ogni domenica.

Dalla BMW nera parcheggiata davanti agli arrivi scende un uomo alto, spalle larghe, catenina d’oro al collo e anelli alle dita. Si toglie i Ray-Ban, che porta nonostante siano le due di notte, e si avvicina per abbracciarmi.

Benvenuto a Tbilisi fratello, sono contento tu ce l’abbia fatta. Dai, sali”.

 

Ci mettiamo entrambi sul sedile dietro, e la macchina riparte. Sapevo che fosse benestante, ma non immaginavo avesse anche l’autista.

No no, quello è papà. Sarei venuto a prenderti io, però mi hanno ritirato la patente. Facevo i duecento su una statale e boh. Mi secca solo che normalmente avrei potuto riprenderla il giorno dopo, però ora non siamo più nel governo e ci tocca aspettare due mesi come tutti”.

Sono abituato alle storie di Walter, al suo atteggiarsi, ma so che dentro è buono come il pane. Gli racconto un po’ di com’è stato il viaggio fino a lì, una frazione delle migliaia di chilometri che ancora mi aspettano.

 

Parcheggiamo davanti a un palazzo. Come ti ho detto, è meglio se non stai a casa da me, però puoi stare nell’albergo di famiglia, non farti problemi. Riposa bene che domani ci aspetta una lunga giornata”.

Salgo nella suite, un appartamento dotato di qualsiasi cosa. Prendo una Schweppes dal frigobar, e non trovando un cavatappi procedo ad ammaccare un po’ tutte le superfici cercando di aprirla. Non riesco a trovare un bordo solido e non arrotondato né nel bagno, quasi tutto in marmo, né nel soggiorno, dove i legni pregiati dei mobili si dimostrano troppo teneri.
Prendo fiato, apro le tende e guardo fuori verso la città. Non ci sono molti grattacieli illuminati, anzi, la città sembra essersi fermata negli anni ottanta. Mi stendo sul materasso con la bottiglia ribelle ancora in mano, e mi addormento istantaneamente.

poligono di tiro

 

Allora com’è andata la prima giornata? Cosa gli hai fatto vedere?”. Sul tavolo non ci sono primi o secondi, ma solo vino bianco, formaggio e patatine. Ogni tanto qualcuno fuma dal tubicino del narghilè, un’altissima bottiglia di vetro colorato con foglie di tabacco aromatizzate.

Come prima cosa lo abbiamo portato alla cattedrale” risponde per me Walter, “ma abbiamo preso la strada sbagliata, si vede che non andiamo spesso in chiesa!

I nostri commensali ridono. Sono tutta gente che un giro all’estero bene o male se lo sono fatti, chi studia a Birmingham, chi a Tallinn, ma restano fedeli ai valori di casa. Chi ha una croce al collo, chi una croce tatuata sul braccio, e persino Walter quando siamo entrati nella cattedrale, il segno della croce se l’è fatto.
Non ho mai visto una chiesa così, da fuori certamente imponente, ma simile a decine di altre chiese. Entrando dentro però ho notato la mancanza di navate o nicchie, rimpiazzate da un solo spazio, altissimo, come una torre cava.
Walter mi ha accompagnato ad accendere candele per i morti. In quel momento mi sono reso conto di essere fortunato, perché non ho nessuno per cui pregare. Lui invece ne ha accese un bel po’.

 

Sai cos’è? – continua Walter – io credo in Dio, però la Chiesa ha davvero perso la strada. Ti ricordi quando abbiamo visto il patriarca arrivare sul suo SUV? La sua targa era PRETE001”.

L’hai portato a vedere il museo d’arte?” interviene Tommaso.

Non c’è niente da vedere lì. Se t’interessa il genere – rivolgendosi a me – andiamo domani da mio nonno che è un collezionista. Siamo andati invece al museo di storia”.

Lì c’era un’intera ala dedicata a Stalin, triste patrimonio della nazione per nascita.
Esponevano però anche con fierezza delle mappe sulle migrazioni delle antiche tribù di homo sapiens, che risalendo dall’Africa proprio qui nel Caucaso si separarono, alcuni diretti verso l’Europa, altri verso l’Asia. Questo spiega come mai i miei ospiti riescano a farmi sentire il più piccolo del gruppo, nonostante il mio metro e 80 cm. Sono tutti altissimi e massicci.

 

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Il giro della mattinata si è concluso con la visita a una gola, con tantissime case che sembravano sospese per metà nel vuoto. Walter mi ha spiegato che in quella regione montagnosa era un modo per creare spazio edificabile.
In fondo alla gola, con una cascata sullo sfondo, abbiamo visto anche una sessione fotografica di un matrimonio, con gli invitati intenti a uno strano tiro della fune.

 

Dopo la gola siamo andati a pranzo. L’abbiamo trattato bene con birra, vari shot e chacha, il nostro liquore nazionale”. Tutto questo alle tre del pomeriggio.
Anche le pietanze di carne e intere forme di formaggio non erano per i deboli di cuore, ma il colpo finale me l’ha dato il khachapuri.
Questa specie di base di pizza, modellata come una ciotola, viene servita con all’interno due uova, mezzo pacco di burro e formaggio a volontà, da mischiare sul momento.
Abbiamo avanzato più della metà.

E per finire siamo andati a fare due tiri” riprende Walter, ma non si riferisce alla pallacanestro.

 

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Il poligono da tiro era anch’esso molto internazionale, finanziato da Société Générale e specializzato in fucili Beretta e pistole slovacche. Sui muri le teste inespressive di cervi e cinghiali impagliati mi guardavano come se sapessero che io, lì, non c’entravo niente.
L’unica formalità è stata firmare una liberatoria scritta in georgiano, e poi, ubriachi com’eravamo dopo il pranzo, ci hanno dato una pistola carica e ci hanno indicato il bersaglio.

Dovevate vedere la faccia dei proprietari quando George ha messo a segno quattro letali. «Sembra che anche gli stranieri sappiano tenere un ferro in mano!» dicevano!”, e mi dà una pacca sulla spalla.

Eh, ma è comunque diverso da qua – interviene Giovanni – Qua iniziamo a sparare verso i 13 anni“.

“A me hanno sparato dietro almeno un paio di volte. Gente che prima consideravo amica”, aggiunge Ezio.

“Se hai soldi – riprende Walter – la gente sta con te solo per avere più che può. Quando arrivano i tempi duri, allora si vede chi sono i veri amici”.

“Sì! Alla nostra!”.

“Al rimanere speciali!”.

 

“Pensa che tutti i nostri genitori sono stati in galera almeno una volta. Persino il padre di Giovanni, che ha riscritto da zero tutto il codice di leggi del Paese dopo la transizione sovietica. Prendi me, prima il vecchio era Ministro degli Interni, poi dopo che l’opposizione è passata al potere, i poliziotti bastardi hanno cominciato ad accerchiarmi di notte e a darmele senza motivo”.

“Non bisogna scherzare con quelli della difesa. C’hanno i cuori e i denti più neri delle loro auto”, aggiunge Giovanni.

“Pensano di darci una lezione – spiega Tommaso – Non gli piace come andiamo in giro come se fossimo i padroni di tutto”.

“Anche se ce le danno, la realtà mica cambia”. Tutti ridono alla battuta di Walter. “È vero però che i periodi di bancarotta sono brutti. Avevamo le macchine in garage ma non i soldi per metterci la benzina”.

L’embargo russo dopo la guerra del 2008 non ha aiutato”.

 

La mia espressione tradisce l’ignoranza di questo fatto, così vicino nel tempo e nello spazio.Pensavi che quello che sta succedendo questi giorni in Crimea fosse qualcosa di nuovo?” aggiunge Marco.

Non piangiamoci addosso – riprende il filo della conversazione Giovanni – Abbiamo 33.000 fiumi, presto conterà più del petrolio. Stiamo anche esportando vino verso i mercati emergenti, come l’India. A proposito, prendine ancora, il vigneto di famiglia ha avuto un’ottima annata”.

Rifiuto gentilmente, ho già bevuto troppo a stomaco vuoto.
Mi guardo intorno, agli altri tavoli c’è qualche ragazza col fidanzato, ma mai un gruppo di ragazze da sole. Questo spiega anche le signore che avevo visto nella cattedrale. Di spalle pensavo portassero il burqa, in realtà Walter mi ha spiegato che erano suore, solo col viso scoperto.

Mi arriva un messaggio. Lo faccio vedere a Walter.

George, te lo dico di nuovo, secondo me fanno sul serio”.

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Io continuo a rimanere convinto invece che sia uno scherzo. Certo, finora durante il viaggio ho fatto anch’io delle scelte discutibili, però dai, se quello che mi hanno scritto nel messaggio l’hanno fatto davvero, è una porcata di dimensioni colossali.

Il giorno dopo a colazione, mentre aspetto Walter nella lobby dell’albergo, faccio delle chiamate internazionali col telefono della reception, tanto non pago io.
I cellulari dei miei amici ovviamente non prendono.
Chiamo il nostro intermediario in Azerbaijan. Nessuna notizia. “Prova in albergo” mi dice.
All’albergo a Baku però sostengono che i miei compagni non hanno mai fatto check-in. Metto giù e sbuffo. Vado su Facebook per distrarmi, e mi compare tra le novità una foto in cui loro sono taggati.
Chi l’ha caricata, uno del posto dal nome, è in linea in questo momento. Ho una nuova pista!

 

Sì, ci siamo visti ieri, ma se ne sono già andati”, mi risponde lo sconosciuto.

Non ci credo, persino lui fa parte del gioco.

Walter finalmente arriva: “Scusa, ma chi doveva farci da autista oggi ha avuto problemi in famiglia”.

Dopo i discorsi di ieri, spero sinceramente che non si tratti di qualcuno finito in prigione o peggio.

Arriviamo in stazione all’ultimo e non troviamo parcheggio. La lasciamo in tripla fila, “tanto non toccherebbero mai una macchina con targa governativa“, e prendiamo la strada più veloce, in mezzo al mercato d’oro più grande della regione.
Mi spiega che almeno da loro non sono le banche, ma le centinaia di venditori lì con le loro bancarelle, a decidere il corso della valuta.

 

Mi accompagna fino al treno. Un capofamiglia azero sta litigando col controllore georgiano parlando un russo approssimativo, evidentemente ancora la lingua franca della regione. Walter mi dà in mano il biglietto, pagato da lui come tutto il resto, e mi saluta.

Oh, se hai problemi a Baku, fammi una chiamata, che io so chi minacciare. Stammi bene”.

Poi, appena il treno parte, sblocco il cellulare e rileggo il messaggio di Francesco: “Noi siamo già arrivati ad Aktau. Tu dove sei?“.

 

[SEGUE]

 

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George Gavrilita

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LEGGI QUI TUTTE LE PUNTATE DI “TRANSASIA”

Prologo: Chiacchiere in Georgia
Cap I – Verso la Cina, con mezzi di fortuna
Cap II – Fuga dall’aeroporto di Baku
Cap III – Visti per l’Uzbekistan e rovine greche
Cap IV – Bloccato a Baku, senza soldi né amici
Cap V – Turismo di sopravvivenza in Azerbaigian
Cap VI – Uzbekistan, mari prosciugati e paranoia collettiva
Cap VII – Sul treno Tashkent-Samarcanda delle 8.54
Cap VIII – La gloriosa traversata del Caspio
Cap IX – Nuovi incontri tra le guglie di Meteora
Cap X – La movida di Salonicco
Cap XI – La Pepsi di Tamerlano
Cap XII – Balcani low-cost, più di quanto già lo siano

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