Thom Yorke non ci sta (e affonda Spotify)

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Thom Yorke, leader degli amatissimi Radiohead, si scaglia ancora una volta contro il servizio di streaming musicale di Spotify. Dopo aver rimosso dall’accesso pubblico i propri album da solista e con gli Atoms For Peace (ma non quelli dei Radiohead) e annunciato l’inizio di una battaglia culturale contro i compensi irrisori promessi dal servizio online agli artisti presenti sulla piattaforma, durante un’intervista con il magazine messicano Sopitas il frontman inglese non ha sotterrato l’ascia di guerra.
Come ha riportato il Guardian: “Spotify è l’ultima scorreggia di un corpo agonizzante – ammonisce Yorke – non è come quando i Radiohead hanno pubblicato In Rainbows (album distribuito in free download dal sito della band, ndr): Spotify è un intermediario, un potenziale “gatekeeper” che prova a controllare il rapporto tra artisti e pubblico“.
E ancora: “Nessuno chiede a Spotify di fare ciò che fa. Nessun artista lo chiede, possiamo farcela da soli“.

Una chiarezza di intenti, quella del cantante britannico, che pare scontrarsi con gli ultimi dati noti sulla salute dell’industria musicale: a partire dalla testimonianza di Martin Mills, presidente del Beggars Group (etichetta di The National, Palma Violets e Ice Age tra gli altri), che riconosce proprio allo streaming online un 22% di ricavi durante l’esercizio del 2012, oppure dalle ultime entusiastiche note che vedono un ritorno di fiamma delle “music major” su mercati in crisi decennale come quelli di Svezia e Norvegia.

Una contraddizione, forse un caso? Yorke dice la sua: “Spotify si serve di musica vecchia, quella che è storicamente in mano alla major. Per questo le grandi etichette ci stanno sopra: vogliono rivendere la roba vecchia senza problemi, facendo una fortuna – ed evitando la propria morte”.
Tra le diverse campane, il grido dei Radiohead non rappresenta la fazione maggioritaria. Spotify – sviluppato dall’omonima impresa svedese – è attualmente presente in 28 nazioni, conta più di 24 milioni di iscritti (di cui 6 milioni di abbonati) e registra una crescita di archivio nell’ordine delle 20.000 canzoni al giorno.
Con una proiezione futura che pare conoscere solo segni in positivo, il servizio di Spotify può essere considerato come la prima risposta vincente messa a segno dal “music system” dopo l’esplosione della pirateria online.

Sempre che le voci sui cattivi pagamenti e sulla temibile prospettiva di un’unica “nuvola musicale” che starebbe nascendo sotto il controllo unico di Spotify – rievocando gli attuali timori sulla gestione dei dati sensibili da parte di Facebook – non tramutino un sogno possibile in un definitivo fallimento dell’industria musicale, già pesantemente ridimensionata dalla rivoluzione di Napster.
Un tonfo che potrebbe minare una volta di più il concetto di fruizione musicale, un’eventualità disatrosa sulla quale – nonostante l’entusiasmo degli utenti di mezzo mondo – Thom Yorke ci sta avvisando.

Matteo Monaco  
@twitTagli

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