Termini TV è un progetto indipendente di narrazione urbana che da tre anni raccoglie, con oltre 2000 video, le storie che quotidianamente si incontrano nelle stazioni ferroviarie, partendo come base dal cuore di Roma, Termini.
La stazione principale della capitale, con le 500.000 persone che la attraversano ogni giorno, può essere considerata a tutti gli effetti la porta di Roma e allo stesso tempo rappresenta il suo cuore pulsante.
Da quando l’esperienza è iniziata ha raccolto l’interesse di molti media (tra gli altra Il Sole 24 Ore, Wired, New Europe, Cafè Babel, Radio Libera Tutti e la radio nazionale svedese SverigesRadio), collaborando a lungo con la rivista Internazionale, fino alle esperienze più recenti con l’Università La Sapienza sulla mobilità europea e le dirette a San Lorenzo con Radio Onda Rossa.
La prospettiva di fondo con cui si legge il flusso di storie è di valorizzare l’esperienza del viaggio ad ogni livello: dalla migrazione interna degli italiani, alle seconde generazioni (figli di stranieri nati in Italia), dai migranti arrivati da poco a quelli di lungo corso, dai turisti ai viaggiatori non convenzionali, dai manager ai pendolari, senza dimenticare i senzatetto.
Qui
il canale youtube
Non ha senso che io finga di parlare di questa esperienza come un esterno, perché l’ho vista nascere, crescere, provando a dare il mio contributo anche senza fotocamera.
Anche ora che mi sono allontanato da Roma continuo a seguire gli sviluppi a distanza, grazie soprattutto all’amicizia che mi lega al fondatore, Francesco Conte.
Per questo ho pensato di unire le mie considerazioni sul percorso terminista ad alcune domande rivolte a lui.
Termini TV non è una TV, è un’azione politica”
Francesco, quanto c’è di Roma e quanto del resto del mondo nel vostro mosaico?
“L’idea principale è che chiunque è in un luogo lo sta vivendo, anche alla luce del suo bagaglio pregresso. Per questo Roma è fondamentale, come contesto di incontro.
Se ti intervisto qui, a Termini, è come se io facessi una tv (web) di quartiere e allo stesso tempo parlassi di quello che succede nel mondo. Si chiama ‘glocal’ apposta, perché si gioca sia su un piano locale, o iperlocale, che per riflesso su un piano globale, quando ognuno racconta la propria origine, o anche la propria aspirazione ad andare altrove.
Allo stesso tempo, ogni stazione contiene in sé questa ambivalenza, che sia a Roma o altrove poco importa.
È fondamentale che sia al centro di una città, che questo movimento incessante di persone sia localizzato in un luogo determinato, a cui le persone arrivano, o da cui partono.
Questo momento di incrocio (spesso mancato o non raccontato) è esattamente ciò che TerminiTV cerca di cogliere, mostrando la ragione individuale per muoversi”.
Qui un video
di testimonianze di storia dell’Esquilino
La (mia) storia degli inizi della redazione: da Brooklyn al Pigneto
Nel gennaio 2015 ero appena tornato da una super esperienza di studio all’estero concentrata in tre mesi vissuti a New York e ora si trattava di trovare una nuova sistemazione a Roma.
Avevo già vissuto un anno e mezzo nella capitale senza però sperimentare le mille opportunità di incontro che la città offre. Dopo una lunga ricerca della stanza, per una serie di casualità decido di prendere casa al Pigneto – forse per un’inconscia assonanza con Brooklyn – e da lì la mia vita romana cambia radicalmente, perché a pochi metri da me abita un curioso personaggio di nome (d’arte) Fran Atopos Conte.
Conoscevo Francesco dall’ultimo anno di Università a Macerata. Ora me lo ritrovavo vicino di casa proprio mentre stava per dare avvio a un’esperienza nuova in cui non potevo che farmi trascinare.
L’idea di raccontare la stazione Termini e prenderla come punto d’osservazione sulla società aveva iniziato a prendere forma già a fine 2014 nel dialogo tra Francesco e altri amici giornalisti.
A gennaio 2015 facemmo le prime riunioni con il gruppo originario nei sotterranei della stazione, in una specie di palestra dove era situata una scuola di danza chiamata “Termini Underground”. Li facemmo i primi brain storming, e le valutazioni sul budget necessario per partire.
Purtroppo, dopo le prime difficoltà, il gruppo perse una parte di partecipanti, ma da settembre se ne aggiunsero di nuovi, e così il flusso narrativo si alimenta fino ad oggi di un grande sforzo personale, integrato da collaborazioni intermittenti e contatti con vari luoghi d’Italia e del mondo.
“Termini TV è “Citizen journalism di gruppo” direi insomma, più che una vera redazione”.
Francesco, com’è stata Termini TV come esperienza umana di redazione?
“Purtroppo ho constatato che quando mancano i soldi, nulla è garantito, e infatti il gruppo è cambiato molteplici volte, ma soprattutto è mancato un approccio non verticistico.
Il fatto di essere l’unico che ha resistito mi ha in qualche modo condannato a essere l’unico responsabile, e credo che questa sia la più grande sconfitta per me. D’altro canto, in decine, un centinaio direi, hanno collaborato.
Comunque, ho conosciuto un po’ la vita nelle redazioni serie, e non avevo nessuna intenzione di ricreare quelle infinite riunioni cui avevo partecipato in precedenza – anche se come ultima ruota del carro. A me piaceva l’idea dell’indipendenza di ogni redattore, della libertà di scegliere la propria storia e di portarla avanti, ma purtroppo la realtà è che molti si avvicinano a Termini TV perché vogliono imparare a fare una web tv, e quindi hanno bisogno di aiuto per realizzare le proprie storie.
Direi che il processo produttivo è stato il loro lavoro a gratis in cambio del mio lavoro a gratis come supervisore giornalistico, o almeno come esperto del luogo. “Citizen journalism di gruppo” direi insomma, più che una vera redazione”.
Il racconto dalla strada
Termini TV parte da una necessità: inserire nel racconto realtà ed esperienze che vanno solitamente perdute e raccontare diversamente spazi e persone macchiate da stereotipi.
Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale abitare lo spazio che si vuole raccontare, mettendosi al livello dei “personaggi”, dialogando in maniera critica con le fonti, filtrandole, ma rispettando anche il loro messaggio.
Spesso quando mi è capitato di accompagnarti nelle interviste ho percepito la sensazione contrastante di grande curiosità unita a una dose di paura, legata alla durezza delle realtà che ti trovavi a raccontare.
Esporsi in prima persona senza una vera organizzazione dietro è molto pericoloso, quando ti trovi di fronte a situazioni di marginalità.
“Per strada c’è la democrazia, come si comporta ognuno di noi ha un impatto diretto sulla realtà”.
Francesco, perché Termini TV ha deciso di stare per strada? Raccontare dalla strada è necessario?
“Per strada c’è molta gente statisticamente diversa da noi, magari in disaccordo con noi.
Per strada c’è la democrazia, come si comporta ognuno di noi ha un impatto diretto sulla realtà, e sulle opinioni che da essa si formano.
Stare all’origine delle opinioni, dove i fatti accadono, permette di essere testimoni attendibili della realtà, e di parlare con gli altri nel momento in cui si formano l’opinione – per esempio di Termini come di un luogo malfamato – e incidere in quel momento piuttosto che più tardi, biasimandoli per la loro mancanza di coerenza.
Noi non facciamo solo video dalla strada, la viviamo, c’è molto di più di quello che si vede in video”.
Restando fermi alla stazione ci si muove comunque, e si ha la possibilità di incrociare molti fenomeni contemporanei che sui media standardizzati non emergono, semplicemente perché la realtà quotidiana non cattura l’attenzione. L’estromissione della quotidianità dal mainstream massmediatico influisce pesantemente sulla scarsa percezione dei fenomeni che hanno i cittadini.
Francesco, pensi si possa influire su ciò che è “notiziabile” rendendolo più vicino ai fenomeni reali, oppure bisogna rifiutare il meccanismo della notizia come evento separato dal resto?
“Purtroppo è inutile rifiutare il meccanismo della notizia, e questo ormai mi è evidente, dopo anni di sforzo produttivo. Non c’è nulla fuori dall’attualità, nell’immediato, e poi c’è solo la storia.
La quotidianità non fa notizia, non c’è rimedio a questo, ma ciò non interessa né i media né gli algoritmi che regolano le nostre vite virtuali. Siamo tutti alla mercè dell’attualità, dei trending topic e di quello che tira.
Oltre la notizia, però, resiste chi ha fatto il lavoro più profondo, a volte invisibile, di raccogliere contatti e relazioni.
È un grande sforzo, ma con la realizzazione del documentario su Termini, ad esempio, riusciremo a raccontare questo luogo come mai nessuno prima, e non è poco, vista l’importanza di questo posto”.
Tra i video “di attualità”,
qui
l’intervista al fotoreporter Iason Athanasiadis sul Medio Oriente.
Mi ricordo quando l’esperienza è partita che si puntava molto sulla diffusione social, sperando di trovare un consenso immediato.
Le cose sono andate diversamente e il progetto si è diffuso in modo graduale ma forse più incisivo. Allora ero convinto che fosse fondamentale incontrare gli appassionati di persona e mi fa piacere che stiate avendo successo con questi happening di poesia alla stazione.
Francesco, quanto è importante incontrarsi di persona in una fase del genere?
“Incontrarsi di persona è stato fondamentale all’inizio dell’ideazione del progetto, che proprio per questo non è solo mio.
Gli happening di poesia alla stazione sono un modo di vedere in faccia le persone dietro ai like sui social. Contano di più trenta partecipanti a Poetry station, in carne, ossa e rime, che tremila visualizzazioni senza nessun riscontro reale.
Gli incontri di poesia stanno andando molto bene e questo ricrea un gruppo che non è solo una redazione, ma un movimento, per mutuare una parola molto in voga in questo momento. TerminiTV è un’azione politica, non è una macchina raccogli-like. Un’azione politica significa che ogni volta che ci incontriamo interagiamo anche con gli altri, non siamo auto-referenti, siamo sempre pronti ad andare in diretta, cerchiamo di portare su internet le immagini e parole delle persone che incontriamo, ma non a scapito dell’incontro e della sua spontaneità”.
Invertire il racconto: la strada di Termini TV
Tutto quello che viene ripreso è frutto di una scelta.
Le interviste e le performance di Termini TV non sono quasi mai casuali. Di realistico c’è che le persone riprese nelle interviste prendono comunque dei treni dalle stazioni, senza pensare di valorizzare le potenzialità sociali di quel momento di attesa. Quindi la scelta di raccontare storie in mezzo alla gente che aspetta, portando spesso arte e musica sui binari, è una proposta esplicita di vivere in modo alternativo quei luoghi.
Scegliere questo luogo come lente d’osservazione sulla realtà pone gli autori di fronte a un’esperienza esplorativa sempre nuova, emozionante ma anche logorante.
Oggi le grandi stazioni fanno pensare a militari coi mitra spianati, poliziotti in borghese e in divisa che vegliano sui consumatori, che docilmente prima della partenza o dopo l’arrivo si intrattengono, soli ognuno con la sua storia e i suoi problemi, e in silenzio perché non c’è niente da dirsi.
Raccontare una storia, cantare una canzone, o recitare una poesia accende una luce. Spesso capita che i passanti intervengano in una scena che improvvisamente ricrea quella socialità che vogliono rubarci.
Qual è l’obiettivo politico di questo investimento securitario? E quali sono le implicazioni sociali della trasformazione delle stazioni in grandi centri commerciali?
“La gran parte delle persone è felice di vedere i militari, come della svolta securitaria. Ce lo dicono le elezioni, se ne servisse una prova.
È interessante questa raccolta di interviste fatta a Termini poco dopo che erano state erette le barriere a controllo dei binari. Come si può ascoltare, la gran parte delle persone è felice anche di vedere le barriere in stazione, e del crescere del numero dei negozi.
Poi, quando sarà tutto finalmente cambiato, ci saranno i nostalgici. Ecco, noi siamo nostalgici a priori”.
“La gran parte delle persone è felice anche di vedere le barriere in stazione, e del crescere del numero dei negozi”.
La stazione è un luogo in cui le contraddizioni di questa società sono costrette a sedersi accanto, le “divergenze” sono costrette a “convergere”.
Tutti condividono il movimento e la necessità di raggrupparsi in questi spazi anche solo per pochi minuti. Si può ridurre questa esperienza al rischio di essere borseggiati, si può tentare di “immunizzarla” con barriere e militari a mitra spianato. Si possono raccontare i successi di chi sale sui treni veloci, “le eccellenze”, lasciando indietro gli altri sui treni lenti.
Oppure si può provare ad attraversare le contraddizioni, a starci dentro, come un acrobata che non può fare a meno di camminare su un filo sospeso tra indifferenza e deflagrazione.
Per me Termini TV è questo: un’acrobazia necessaria.
Nicola Cucchi