Quando Roberto Formigoni atterrava in elicottero ai meeting di CL, il futuro ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti non aveva nemmeno l’autista. Vent’anni dopo, complice il tempo, le numerose inchieste giudiziarie e – dicono i maligni – qualche giacca troppo estroversa, è proprio Maurizio Lupi a sfilare al Celeste la leadership politica di Comunione e liberazione.
Ma partiamo da principio, e ripercorriamone brevemente il degno curusus honorum. Studia scienze politiche alla Cattolica di Milano, università che gli permette di conoscere l’ambiente al quale rimarrà legato per tutta la sua esperienza politica futura – e non è certo un caso che sia tutt’ora un habitué dei chiostri di piazza sant’Ambrogio.
La prima esperienza politica è con la DC, con la quale viene eletto in consiglio comunale a Milano; successivamente assessore per il centrodestra sotto Albertini e infine deputato con Forza Italia – PdL, nel quale rimarrà fino alla famosa rottura con Berlusconi e il passaggio nel NCD di Alfano.
Scelto dall’”amico” Enrico Letta, diventa ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, riconfermato nel governo Renzi.
Pacato ma deciso, mai volgare, rifugge la mondanità e si guarda bene dall’essere obiettivo di riviste scandalistiche. Re dei salotti televisivi – battuto solo da Gasparri, che notoriamente ha una branda nel sottoscala degli studi di La7 -, in buoni rapporti con tutti e (qualcuno dice) addirittura competente, Maurizio Lupi si ritrova a 54 anni a un punto decisivo della propria carriera politica, con un’importante scelta davanti a se: proseguire la via della politica nazionale, o tornare alla dimensione ‘locale’.
La prima via sembra apparentemente la più semplice: in un partito neonato ma già quasi spentosi, annullato e schiacciato nell’azione di governo dal PD di Matteo Renzi, Lupi potrebbe prendere le redini del nuovo centrodestra (inteso come area: di qui le minuscole), invocare un ricambio generazionale e trasformare il proprio partito da una costola di fuoriusciti in un vero partito di centrodestra moderno.
È diffusa nel NCD la consapevolezza che sia necessario dare nuova linfa al partito e aprirsi ad un bacino elettorale più ampio prima che si torni a elezioni, elezioni che vedranno senza dubbio l’alleanza con una Forza Italia, impaziente di far valere i propri punti percentuale in più.
L’unico ostacolo che sembra frapporsi tra Lupi e la leadership del NCD è il “senza quid” Alfano, in caduta libera sia nel proprio partito che nell’esperienza di governo, scavalcato da FI e costretto a subire l’umiliazione di votare una riforma del Senato decisa dal Premier e da Berlusconi.
La seconda sfida – la prediletta dal ministro, pare – e quella per Palazzo Marino. Nel 2016 Milano tornerà ad elezioni, e se il centrosinistra sembra convergere su secondo mandato di Pisapia, il centrodestra è ancora alla ricerca del proprio uomo.
Per questo Lupi sta sondando CL, per assicurarsi che lo votino compatti, e sta infittendo il dialogo con i catto-leghisti milanesi, dei quali l’amico Lorenzo Ornaghi, già rettore della Cattolica e ministro del governo Monti, è noto esponente.
Anche la partita delle alleanza sarà delicata: oltre al sostegno di Forza Italia – non scontato ma possibile -, Lupi deve incassare il sì anche di Scelta Civica: il partito di Monti, nonostante i risultati elettorali da zero virgola, conta al suo interno Mario Mauro, altro big di CL, che potrebbe rompere il fronte dei cattolici milanesi.
Difficile invece trovare una quadra con la Lega, pronta a lanciare il proprio segretario, Matteo Salvini.
Che sia a livello nazionale o locale, Lupi è pronto a mettersi in gioco; dopotutto, nonostante sia di media statura – rubando la citazione a uno che di politica se ne intendeva – non ci sono giganti attorno a lui.
Francesco Cottafavi
@FCPCottafavi