#Temoiltema 2013: la redazione di Tagli svolge il tema di ordine generale della Maturità 2013

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Tanto maturi… da essere marci

I giornalisti di Tagli  ritornano sui banchi di scuola e si cimentano con le tracce del tema di maturità 2013. Ognuno ha scelto la sua preferita: prima Luca Romano (ambito tecnico-scientifico), poi Alessandro Porro (ambito storico-politico). La Tipologia C, il tema Storico, è stata appannaggio di Domenico Cerabona; ora tocca alla prima lady: Commerciale ha scelto il tema di ordine generale.

2. TIPOLOGIA D, TEMA DI ORDINE GENERALE

Fritjof Capra (La rete della vita, Rizzoli, Milano 1997) afferma: “Tutti gli organismi macroscopici, compresi noi stessi, sono prove viventi del fatto che le pratiche distruttive a lungo andare falliscono. Alla fine gli aggressori distruggono sempre se stessi, lasciando il posto ad altri individui che sanno come cooperare e progredire. La vita non è quindi una lotta di competizione, ma anche un trionfo di cooperazione e creatività. Di fatto, dalla creazione delle prime cellule nucleate, l’evoluzione ha proceduto attraverso accordi di cooperazione e di coevoluzione sempre più intricati”.

Conflitto tra cooperazione

e istinto distruttivo nella Bestia Umana

di Commerciale

 

Se si vuole analizzare con onestà intellettuale il pensiero di Frijot Capra basato sul credere l’evoluzione delle specie (o per usare le sue parole, degli “organismi macroscopici”) inevitabilmente legato alla cooperazione e alla creatività, occorre partire dall’inevitabile assunto per cui l’evoluzione dell’essere umano è stata talmente differente da quella degli altri animali che, di fatto, non si possono trovare ferree regole che governino il processo evolutivo dell’una e delle altre; invece è più opportuno rassegnarci a distinguere il nostro percorso, così come dobbiamo distinguere natura umana e natura animale.

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In principio vi è la distinzione che Fromm fa tra distruzione “benigna” e distruzione “maligna”: la prima accomuna l’uomo alle bestie – e difatti è il tipo di distruttività tipica della prima fase dell’evoluzione che concerne la nostra specie: in poche parole, la distruzione finalizzata alla difesa di se stessi e di ciò che è nostro.

Con il progresso e la nascita di una mente umana sempre più elaborata (e capace di ragionare su se stessa) si sviluppa e cresce nel corso di millenni un secondo tipo di distruttività, maligna per l’appunto, che potrebbe essere considerata quella della Bestia Umana di Zola, fatta di malessere, follia e distruzione fine a se stessa. Quest’ultima è negatività pura e non porta a nessuna evoluzione, naturalmente, ma è ormai parte della natura umana esattamente come la prima.

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Da un lato è innegabilmente giusto ciò che dice Capra in merito al fatto che la distruzione – e l’autodistruzione – portino ad un’inevitabile fine per la specie che la mette in atto: il tentativo da parte dell’essere umano di dominare ogni settore del globo terrestre a costo del disfacimento dello stesso non potrà che portare, un giorno, alla morte della nostra specie (a meno di trovare una soluzione che salvaguardi sia la nostra vita che quella del pianeta sul quale viviamo, realtà che al momento paiono inconciliabili).
Occorre però dire che dichiarare che l’estrema e talvolta ingiustificata distruzione porti all’autodistruzione è, come minimo, puntualizzare l’ovvio. Bisogna invece capire come e perché la natura umana si sia diversificata a tal punto da quella delle altre specie da far nascere quella “distruttività maligna” che, nella realtà dei fatti, si traduce nell’abuso delle risorse – intese come ambiente, creature “altre” e fonti di sostentamento – a nostra disposizione, di cui ci riforniamo ormai da secoli in quantità nettamente maggiore a quanto in realtà avremmo necessità di disporre.

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Non si può, in alcun modo, paragonare le leggi evolutive che governano l’uomo a quelle che regolano l’evoluzione di ogni altra specie e ciò è vero da quando l’uomo ha appreso di essere tale, ovvero con la nascita dell’autocoscienza.
Con un cammino lento ma in continua accelerazione nel corso dei millenni, dalla nascita della filosofia socratica in poi, l’homo sapiens ha costruito attraverso la consapevolezza di sé e l’autoproclamazione a Essere Superiore – più o meno definita e convinta in varie fasi storiche e in differenti società, ma sempre presente – una natura che prescinde i concetti di “necessario” e “sopravvivenza” affiancandovi quelli di “ambizione” e “vivere anziché sopravvivere”.

I primi due sono positivi nell’ottica di un equilibrato rapporto tra specie diverse e tra razza umana e ambiente; le ultime due non lo sono.

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Resta dunque da chiedersi: tale modus operandi è in definitiva modificabile? La risposta è sì, nella misura in cui questo sia fatto per salvaguardare le nostre vite (e quindi  da attuarsi solo in caso in cui l’essere umano riuscisse a tornare alla mera difesa del “necessario” e della “sopravvivenza”).

L’uomo può tornare a evolversi per mezzo della cooperazione e la creatività nel momento in cui riesce ad affrancarsi dalla parte della sua natura che lo porta a distinguersi dalle altre specie e che è la consapevolezza della propria eccezionalità rispetto alle stesse.

Purtroppo non ammettere tale eccezionalità sarebbe ingenuo tanto quanto ignorare il nostro potenziale distruttivo fine a se stesso.

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Emerge di fronte a questo un paradosso: parallelamente ad una natura duplice (uomo e animale allo stesso tempo), l’essere umano ha una concezione del rapporto fatto-conseguenza ancora molto più vicino all’atteggiamento animalesco che ad una visione d’insieme di amplissimo respiro che i ragionamenti di Capra sembrano necessitare.

L’essere umano vede l’oggi e il domani, laddove il suo domani va da adesso alla fine della sua vita senza neanche spingersi alla generazione successiva: in definitiva il nostro vivere è solamente una maniera più elaborata e ambiziosa del sopravvivere di piante e animali, costituito però dal soddisfacimento di bisogni che vanno ben oltre il necessario e sfociano inevitabilmente nel farci divenire parassiti del pianeta.

Non vi è interscambio in un epoca in cui la specie dominante ha le armi per distruggere in tempo brevissimo tutte le forme di vita che essa ritiene inferiori o semplicemente incapaci di imporsi in qualunque modo, perché prive della volontà di farlo. Incentivare l’essere umano ad essere collaborativo e costruttivo per prevenire l’autodistruzione non è utile in quanto l’uomo non ha coscienza della propria autodistruzione – già in essere – in quanto privo di una panoramica generale; allo stesso tempo, il suo innalzarsi su un gradino più alto gli impedisce di concepire una vera collaborazione con l’esterno.

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Non si può chiedere ad una creatura – il cui dominio su tutto e la cui esplosiva evoluzione è stata provocata da un’ autoconsapevolezza nata totalmente dall’interno del proprio Io – di lavorare sulla comprensione della propria bestialità e del compromesso necessario alla propria salvezza: non perché non sarebbe la cosa giusta da fare, ma perché il progresso della sua natura lo ha portato a non essere più in grado di accettare di farlo.

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