Tagli in Area: 27° giornata – Da SA(cchi) a SA(rri), le incognite del Milan

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Il corso del passato week-end calcistico è segnato da una fuga di notizie: il Milan è interessato all’allenatore dell’Empoli, Maurizio Sarri. Interesse prontamente smentito dalla società milanese con un po’ d’imbarazzo, perché la squadra ha ancora un tecnico e si chiama Inzaghi, mentre il presidente dei toscani ha preferito non spendere troppe parole sull’argomento, di fatto non chiudendo la porta a quest’opzione. A patto, chiaramente, che si annunci a fine stagione (anche perché l’Empoli è ancora in ballo).

Ipotesi suggestiva, quella di Sarri al Milan, perché ricorda l’esperimento dell’estate del 1987, quando Berlusconi scommette sulle doti di un giovane allenatore di provincia, formatosi tra le panchine di alcune società giovanili (Cesena, Fiorentina) e con alle spalle una sola esperienza in Serie B alla guida del Parma.
Berlusconi però l’ha potuto osservare da vicino agli ottavi di finale di Coppa Italia, dove il suo Milan viene estromesso dalla competizione proprio dalla squadra di Sacchi, il quale già schierava i propri giocatori con un rivoluzionario 4-4-2 fatto di pressing, difesa a zona e cura maniacale del concetto di distanza tra i reparti.
Berlusconi se ne innamora e fa di tutto per portarlo a Milanello per la stagione successiva. E ci riesce: il 3 luglio 1987 Sacchi firma per il Milan, dando il via all’epopea milanista che per almeno 20 anni ha reso il club milanese un’eccellenza del calcio europeo.

Non tutto quel che luccica è oro, però: anche Sacchi ha le sue difficoltà. In particolare, il primo inverno a Milanello non è dei più felici: la squadra fatica ad assimilare i concetti di gioco del tecnico romagnolo e la classifica ne risente. Come spesso accade in questi casi, arriva un momento in cui i calciatori non ci credono più e chiedono la testa del tecnico.
Ma Berlusconi è di tutt’altra opinione, e si presenta in spogliatoio durante l’intervallo di una partita e spiega ai giocatori che, insomma, non c’è santo che tenga e Sacchi rimarrà sulla panchina del diavolo per tutta la durata del contratto. Quindi, lorsignori (i giocatori) faranno meglio a impegnarsi sul serio perché altrimenti le teste a saltare finita la stagione saranno le loro.
Si tratta del vero inizio del ciclo sacchiano: il Milan quell’anno vince lo Scudetto (l’unico dell’era Sacchi), trampolino di lancio per i successi europei delle stagioni successive.

Questa bella favoletta a cosa serve? Prima di tutto, a raccontarci che nel calcio come nella vita le scommesse intelligenti rendono. Serve però anche a sottolineare come queste “scommesse intelligenti” costano: fatica, impegno e anche insistenza e ostinazione.
Molto spesso, perché una scommessa renda serve che qualcuno sia anche disposto a perdere, almeno inizialmente. Nel calcio tutto ciò vuol dire essenzialmente concedere tempo: all’allenatore per insegnare il proprio metodo, ai giocatori per acquisirlo. E significa resistere alla tentazione di mandare tutto a carte-e-quarantotto alle prime difficoltà: gli Zamparini e i Cellino non sono gli uomini giusti per questo tipo di faccende, ça va sans dire (vorrei ricordare che quel Milan aveva già in rosa quasi tutti i campionissimi che ne hanno poi fatto le fortune negli anni successivi: mancava solo Rijkaard).

Per molti aspetti, l’idea-Sarri ricorda l’intuizione-Sacchi. Anch’egli è un allenatore di provincia, seppur più esperto – il curriculum parla chiaro: prima dell’avventura toscana Sarri ha allenato a Pescara, Arezzo, Avellino, Verona, Perugia, Grosseto, Alessandria, Sorrento –, cresciuto soltanto grazie ai propri meriti e ai propri errori (nella carriera di Sarri si contano diversi esoneri e addirittura una dimissione prima dell’inizio del campionato).
Inoltre, è un tecnico capace di lavorare, e bene, con il materiale a disposizione: sfido chiunque a dire che a inizio anno ci si sarebbe potuti immaginare l’Empoli quasi salvo già alla 27° giornata e capace di mettere in mostra un gioco tra i più divertenti ed efficaci dell’intera Serie A. (Un breve esempio: gira voce che Sarri insegni alle proprie squadre 33 schemi diversi su palla inattiva – ovviamente un record – ed è possibile che sia vero: la sua è la formazione che ha segnato più reti da palla inattiva, ben 11 su 27).
Sarri è quindi, in tutto e per tutto, un ottimo tecnico, non più giovane ma non vecchio (56 anni quest’anno), emerso grazie a una laboriosa gavetta e, quindi, calcisticamente esperto. Non vale nemmeno la pena di iniziare un paragone con Inzaghi; per quanto ne sappiamo noi, Sarri è pronto per allenare una grande squadra.

È lecito tuttavia porsi una domanda: è il Milan quella grande squadra? Riformulo: il Milan attuale è pronto a scommettere su un allenatore che, nonostante stia dimostrando il proprio valore alla guida dell’Empoli, non ha esperienza di calcio ad alto livello?
Le precondizioni, a essere onesti, ci sarebbero: stante la classifica, il Milan potrebbe permettersi la crescita di giovani all’interno dell’XI titolare, e lo stesso probabilmente avverrà nella prossima stagione, quando l’assenza dalle coppe europee permetterà alla squadra di preparare con cura il campionato. 
Giovani, poche ambizioni… insomma, ci siamo, il Milan può giocarsi questa scommessa.

Emerge però un dato inquietante. Queste “precondizioni” sono le stesse che hanno trovato i “predecessori”, se così sarà, di Sarri, e cioè Allegri, Seedorf e Inzaghi. Gli ultimi due in particolare, si assomigliano: entrambi sedotti e poi malamente abbandonati al loro destino – Inzaghi aspetta il benservito, forse già in queste ore.
Sacchi, 25 anni fa, fu protetto da Berlusconi dalle critiche di stampa e giocatori; Allegri, Seedorf e Inzaghi, per diversi motivi, no. E Sarri? Non ho la risposta, ma la pressione societaria, dovuta a guerre e mancanza di orizzonti – che fai, Silvio: vendi? – è un fattore da tenere in considerazione.

Credo che Sarri sia un tecnico “da Milan”, se così si può dire, ma non è questo il punto. L’allenatore di una squadra di calcio deve essere il perno del progetto tecnico, non una pedina in uno scacchiere societario confuso pronta a essere sacrificata in nome della pace dirigenziale.
Se verrà scelto Sarri, alle sue spalle avrà bisogno di una società compatta, decisa e operativa in sede di mercato, di rinnovi contrattuali (questione che merita un approfondimento in società) e che voglia sostenerlo fino alla fine, perché i bilanci si fanno a maggio e non a metà febbraio.
Mancando di physique du rôle, Sarri dovrebbe poter disporre di garanzie, non tanto tecniche ma societarie.
Il Milan deve scegliere una strategia e avere la forza di seguirla e difenderla anche a costo di trattare a muso duro con chi, alle prime critiche e ai primi insuccessi, proverà a disallinearsi, a salvarsi in solitudine, indipendentemente da Sarri o Inzaghi.  

Maurizio Riguzzi
@twitTagli 

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