La storia che voglio raccontarvi oggi è una storia maledetta, da sempre contornata da un vespaio di polemiche. Di queste storie, negli anni di piombo, ce ne sono state tante: tante giovani vite spezzate, da una parte e dall’altra. Il prossimo 7 gennaio saranno passati 35 anni dalla strage di Acca Larentia: ma per la giustizia italiana – come in troppe altre occasioni – questa strage non ha un colpevole. Tre ragazzi, di 18, 19 e 20 anni morirono quel giorno; un diciassettenne morì l’anno dopo. Era un periodo difficile, quelli a cavallo degli anni ’70 e ’80: si poteva morire a vent’anni per un’idea o per avere una tessera di partito rispetto che ad un’altra.
Non mi interessa un’esaltazione eroica di quei tre ragazzi, né dell’ideale nel quale loro credevano. Ma secondo me non è sbagliato ricordare una strage rimossa dalla memoria collettiva, con la ovvia rabbia contro uno Stato che ha coperto le stragi: tante, che ad oggi non hanno colpevoli, con vittime di destra o di sinistra. Molti degli uomini che si sono macchiati di sangue in quegli anni sono liberi, altrettanti criminali sono stati lasciati scappare. È difficile raccontare con imparzialità quegli anni, specie quando si parla di ragazzi giovani, specie quando si parla di due ideologie contrapposte.
In via Acca Larentia, a Roma, c’era una sede del Movimento Sociale Italiano, nel 1978: cinque giovani, il 7 gennaio, erano appena usciti di lì. Avevano dei volantini da distribuire per un concerto di un gruppo di destra, gli “Amici del Vento”. Appena fuori, furono investiti da una pioggia di proiettili, che partirono da armi da fuoco automatiche, le famigerate mitragliette Skorpion tristemente note in quegli anni.
Il gruppo armato era composto da cinque-sei persone, che non ebbero pietà di quei ragazzi. Franco Bigonzetti, 20 anni, studente di medicina, fu ucciso sul colpo. Francesco Ciavatta, 18 anni, ferito, fu inseguito dagli assassini e ucciso da colpi alla schiena mentre cercava di mettersi in salvo. Gli altri tre ragazzi riuscirono a ripararsi dietro la porta della sede del partito, che era blindata.
Gli assassini a quel punto fuggirono, lasciando i due giovani a terra privi di vita. Subito una folla di militanti si radunò alla sede. La polizia, nel tentativo di disperderla, sparò prima lacrimogeni, poi colpi di pistola ad altezza d’uomo. Non era la prima volta: tanti giovani di ambo le parti morirono in manifestazioni dove la polizia aprì il fuoco. Un colpo sparato dal capitano dei carabinieri Edoardo Sivori colpì in testa Stefano Recchioni, di 19 anni, chitarrista del gruppo di destra Janus, uccidendolo.
Gianfranco Fini, allora segretario nazionale del Fronte della Gioventù – l’organizzazione giovanile dell’MSI – fu ferito da un lacrimogeno. L’anno successivo, nella manifestazione in ricordo dei tre ragazzi, un altro giovanissimo, Alberto Giaquinto, di diciassette anni, fu ucciso da un poliziotto in borghese, che fu prosciolto dall’accusa di omicidio.
La strage fu rivendicata dalla sigla “Nuclei Armati di Contropotere territoriale”, una delle tante organizzazioni satelliti delle BR, con un linguaggio spettrale: “Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga”. La stessa mitraglietta dell’ “opera di controinformazione” verrà usata in altri tre omicidi, questa volta direttamente rivendicati dalle BR: quello dell’economista Ezio Tarantelli, quello dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e quella del senatore DC Roberto Ruffilli.
Come tante stragi di questo paese, un colpevole ufficiale non c’è. Restano le vite spezzate di tre ragazzi, morti senza imbracciare un fucile come tanti loro coetanei. Chi lottava, anche aspramente, ma senza abbracciare la violenza – da una parte e dall’altra – aveva diritto a non perdere la vita; aveva, almeno, diritto a un colpevole, una volta che era caduto sotto i proiettili di una semiautomatica. Questo articolo è per loro: a nessuna delle due parti si può negare giustizia, si può imporre l’oblio.
Alessandro Sabatino