A sentire le cronache degli ultimi anni, in Europa sta montando una marea nera neofascista, che avrebbe trovato nella retorica populistica e nazionalistica le chiavi di volta per intercettare gli umori popolari. Ma quanto c’è di vero in questa ricostruzione?
Il mondo giornalistico è sempre più in crisi e, per arginare le perdite, è ogni giorno più tentato di giocarsi la carta della spettacolarizzazione dell’agone politico. Da un lato, imbocca la strada della “reductio ad fascistam”, ovvero il semplicistico ricorso alla categoria ideologica e storica del fascismo per descrivere certi movimenti politici, in primo luogo quelli anti-Ue, anche nei casi in cui il paragone è avventato. Questa strategia è, a sua volta, spesso cavalcata dai partiti di centrosinistra per cementare e mobilitare il proprio elettorato tradizionale, da sempre sensibile alla tematica dell’anti-fascismo. Dall’altro lato, invece, abbiamo assistito a casi di esponenti dichiaratamente fascisti, come Simone Di Stefano di CasaPound, invitati in televisione quasi con un certo autocompiacimento e con la malcelata speranza che potessero spararla grossa e accrescere così l’audience.
In poche parole, oggi il fascismo fa notizia, è cioè notiziabile. Ha in un certo senso sfondato quella soglia di pudicizia che fino a un decennio fa inibiva i giornalisti dall’accreditarne i rappresentanti, anche indirettamente, come interlocutori, ed è stato accolto a pieno titolo nel banale sensazionalismo, in quel groviglio informe in cui il fascista è ormai diventato un freak tanto quanto quelli che credono agli Ufo e alle sirene.
Amplificazione e spettacolarizzazione mediatica del fenomeno fascista, anche in assenza degli elementi peculiari del fascismo, sono dunque le due facce della stessa medaglia. La minaccia neofascista soddisfa infatti appieno quei requisiti di emergenzialità che sono applicati a tutte le notizie, dalla salute alla società, perfino allo sport.
Si veda ad esempio l’eccessiva enfasi che la stampa ha assegnato al presunto exploit di CasaPound a Ostia, appena 5944 voti su 185mila aventi diritto. Se è incontrovertibile l’incremento di voti del partito (4mila in più rispetto alla precedente tornata, con una progressione dall’1,8 al 9%), è tuttavia altrettanto evidente lo scarso peso relativo rispetto a tutto il corpo elettorale.
Il caso è dunque emblematico: la crescita del neofascismo o di movimenti di vaga ispirazione fascista è certamente innegabile e si inserisce in un’escalation di malessere politico che in Italia ha portato negli ultimi anni alla nascita dei forconi e alla rivolta delle periferie romane, ma appare sovradimensionata dai mezzi di informazione, che sembrano quasi lavorare affinché l’improbabile avvento del fascismo si trasformi in una profezia che si autoavvera.
Di una cosa possiamo infatti essere sicuri: se nel prossimo futuro, una nuova forma di fascismo dovesse prendere il sopravvento sulla democrazia, non ci saranno folle oceaniche a reclamarla, come molti paventano, né violenti moti di piazza per imporla. La gente oggi è assai mite. Il fascismo risorgerà piuttosto in un clima di indifferente e apatica rassegnazione, questa sì, al contrario, in incontrollabile ascesa.
Jacopo Di Miceli