
Domani si riunisce a Roma un gruppo di amici e compagni.
Sì, amici e compagni: compagni perché con loro, in questi miei anni di militanza nel PD, ho condiviso alcune battaglie; amici perché… beh, perché alla fine lo siamo diventati. Quindi non posso che augurare loro buona fortuna e buon lavoro.
Non solo: mi spingo più in là. Vorrei anche che la riunione di domani non fosse un coacervo di insulti al PD. Non è quello di cui abbiamo bisogno in questa fase, di certo non ne ha bisogno la sinistra di questo paese.
Capisco benissimo il travaglio interiore che stanno provando personalità come Stefano Fassina e Sergio Cofferati, persone che hanno fondato il Partito Democratico e che hanno dato molto alla causa del centro-sinistra italiano.Capisco il disagio di vedere il proprio partito assumere, su questioni come il mercato del lavoro, la riforma della scuola o delle istituzioni del nostro paese, posizioni così distanti dal comune sentire dei militanti e dell’elettorato di riferimento del centrosinistra italiano. E capisco le loro difficoltà, al punto da comprendere perfettamente (e accettare) una scelta che non riesco a condividere dal punto di vista politico – quella di lasciare il Partito Democratico, il mio partito.
Il punto non è “lasciare il PD”; il punto è: “per fare cosa?”. È per questo che mi preoccupa la riunione di domani: c’è il rischio che il tutto si tramuti in una “ridotta”, un luogo dove si riuniscono con un po’ di rancore tutti i delusi del PD a trazione renziana, per limitarsi alla “pars destruens” senza elaborare una vera (concreta!) proposta di governo degna di una sinistra riformista.
Personalmente ho sempre avuto il terrore di questa deriva, sin dai tempi del congresso del 2013 che ha incoronato Matteo Renzi. Scelsi la mozione di Gianni Cuperlo convintamente perché – al netto della terribile rappresentazione mediatica fatta da una stampa davvero… va beh, soprassediamo – quella di Cuperlo non era una proposta nostalgica. Al contrario: era profondamente innovatrice rispetto a un passato piuttosto timido della sinistra italiana in generale e del Partito Democratico in particolare.
Per la stessa ragione ho continuato a sostenere Cuperlo anche dopo il congresso: rendendosi disponibile a guidare una “realtà” come quella di SinistraDem (il cui obiettivo è e resta, ricordiamolo sempre, “allargare il campo”) e combattendo le giuste battaglie parlamentari che andavano portate avanti in questi mesi difficili, Cuperlo ha dimostrato di avere uno sguardo verso l’orizzonte più che al contingente.
Ed ecco qual è il nocciolo della questione: elaborare un progetto politico complessivo, non arrabattarsi a replicare (ma si legge “rincorrere”) all’azione del Segretario. Di questo ha bisogno una sinistra di governo riformista; e ne ha bisogno sempre, ma soprattutto adesso (se si vuole rinascere dalla macerie consegnateci dal trauma del 2013). In questa ottica, se compagni come Fassina e Cofferati si adopereranno per raggiungere questi stessi obiettivi fuori dal PD, sono certo che – ad un certo punto – ci ritroveremo ancora una volta a lavorare insieme.
Mi terrorizza, invece, la corsa allo sfacelo: se dalla riunione di domani nasce una realtà che ha come unico scopo quello di attaccare il PD da sinistra, l’errore potrebbe essere complicato da rabberciare. Anche perché è facile immaginare che dopo qualche tempo ad essere bersagliata, nel calderone del PD, sarà la stessa ala sinistra del Partito: “sono troppo allineati, serve uno strappo, non si fanno ascoltare”… Un film già visto.
Da un atteggiamento del genere, è il mio timore, non nascerà alcun beneficio: né per il Paese, né per la causa della sinistra italiana.
Domenico Cerabona
@DomeCerabona