Si può sapere quando voteremo? Spieghiamo perché Palazzo Chigi risponde “no”

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Tutti sanno che prima dell’estate andranno al voto Roma, Milano, Napoli e Torino (robetta, proprio) per scegliere ciascuna il proprio sindaco.
Molti ripetono che chiamare alle urne circa 5 milioni e mezzo di persone, malcontate, possa essere un po’ di più della classica tornata amministrativa, e che il tutto possa lontanamente assumere un significato più “politico”, di approvazione o bocciatura del Governo Renzi. Non sarà così, a giudicare dalle ultime evoluzioni, ma tra sapere e non sapere un po’ a Roma stanno in guardia.
Ed è per questo che ad oggi, 29 marzo, non si sa ancora con precisione la data del primo turno né quella dei ballottaggi.

Non una mossa carica di fair play, ammettiamolo serenamente. E perfino il più disincantato ammiratore del tatticismo politico, il più sfrontato seguace di tattiche più o meno raffinatamente machiavelliche, è costretto a riconoscere una eccessiva spregiudicatezza al Presidente del Consiglio e al suo entourage: quand’è più conveniente per noi che le grandi città vadano al voto? Quale data ci è più comoda?
Un approccio per nulla super partes, e che sorprendentemente non attira feroci critiche dell’opinione pubblica, delle forze “antisistema”, di quelle di opposizione.

Il motivo di tanto ritardo è questo: a colpi di sondaggi a Palazzo Chigi stanno cercando di capire non tanto chi vincerà, ma come si posizioneranno al probabilissimo ballottaggio in tutte e quattro le città i flussi enormi degli indecisi da una parte e degli “sconfitti” dall’altra.
L’elettore tradizionalmente di destra andrà al mare – ascoltando il richiamo suadente delle spiagge liguri (per torinesi e milanesi), del lido o della Costiera (per romani e napoletani) – oppure si recherà al ballottaggio per fare un dispetto al PD e votare contro?

Dall’attento posizionamento della data dipenderà gran parte del risultato. Sul versante più concreto, la paventata Caporetto per il Partito Democratico potrebbe ridimensionarsi: a parte il guazzabuglio napoletano, imperscrutabile, a Roma il frazionamento grottesco della destra senza padrone ha ridotto l’effettività della contesa anche qui alla dicotomia “PD contro il resto del mondo”. Un gran risultato, visto che le nefandezze dell’affossamento di Marino sono passate di molto in secondo piano: da sconfitto sicuro, il PD si è ritrovato in corsa.
E se Milano ha visto il suicidio politico dei 5 Stelle (che però sotto la Madonnina non sono rilevanti), a Torino l’umore è ondivago: si dà per certo il ballottaggio, e per probabile una conferma di Piero Fassino. Sempre che, come detto, la moltitudine di non rappresentati (tutti quelli che non sono né PD né M5S) non decida di dare colpi di coda all’establishment cittadino.
Un atteggiamento che potrebbe essere paradigmatico per diverse situazioni: è per questo che scegliere il fine settimana più propizio è diventato maledettamente difficile, maledettamente importante.

Umberto Mangiardi

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