Se Beccaria fosse stato a Genova

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Io quel giorno sono svenuta.
Non nel “giorno della Diaz”, quel 21 luglio del 2001 in cui avevo solo nove anni, ma in uno dell’aprile 2012, quando andai con un’amica a vedere il film-documentario, diretto da Daniele Vicari e prodotto da Domenico Procacci, che racconta l’irruzione della polizia italiana nella scuola genovese Alfonso Diaz.
All’inizio ho provato a resistere, nonostante i conati e il giramento di testa. Ero seduta sulle comode poltrone rosse del cinema e continuavo a ripetermi che dovevo essere forte, deglutire e guardare. 

Guardare è importante”, i giornalisti di quasi tutte le testate non fanno che ripetercelo quando pubblicano, twittano o condividono le foto dei massacri odierni; e allora io continuavo a guardare
All’ennesima pozza di sangue, all’ennesima e vana implorazione di pietà gridata dai giovani attori sullo schermo, e all’ennesima manganellata sono però svenuta. 
Non ho mai creduto di essere di “stomaco debole”, e il sangue non mi ha mai causato troppi problemi, ma quella sera, in quel cinema, la mia testa e il mio stomaco hanno affrontato una nuova e insolita consapevolezza.

In primis, le scene narrate sul grande schermo erano davvero accadute. Si erano inoltre verificate non nel sempre citato Medio Oriente o in qualche parte sperduta di un altro continente, ma in Italia. E, ancora, i fatti erano avvenuti non nel “violento” Sud di Saviano o nell’isola di Falcone e Borsellino, così come la Storia recente d’Italia potrebbe indurre i suoi cittadini a supporre, bensì a Genova, in quel Nord che si riteneva “estraneo” a una cronaca tanto efferata.
A punire immediatamente la mia ingenuità ci ha però pensato la perdita dei sensi.
Quando li ho recuperati, lo schermo continuava a trasmettere davanti ai miei occhi immagini di persone innocue di ogni età massacrate in maniera disumana da individui talmente ambigui che ancora oggi non saprei scegliere una definizione appropriata. Poliziotti? Bestie? Uomini? Lupi mannari?

Esiste in effetti una folta categoria di persone che preferisce chiamarle “bestie”: per quello che hanno fatto alla Diaz, ma anche per quello che hanno fatto nella caserma di Bolzaneto, forse la più degradante e vergognosa forma di abuso di potere.
Se per il modo in cui “quelli” – ripeto, non riesco a dar loro un appellativo più specifico – si sono comportati nella scuola Diaz alcuni trovano giustificazioni e varianti, per quello che è successo nella caserma di Bolzaneto, invece, diventa difficile trovarne. 

Nel film diretto da Vicari, l’attore che interpreta Vincenzo Canterini, l’allora comandante del Reparto Mobile di Roma, a cui viene dato l’ordine di portare i suoi alla Diaz, a un certo punto suggerisce di sostituire l’irruzione della polizia con il lancio di lacrimogeni nella scuola, “così nessuno si fa male e voi potete procedere con la perquisizione”. Quando però Arnaldo La Barbera (il Prefetto, capo dell’UCIGOS, che ordinò l’azione verso la scuola Diaz) gli risponde negativamente, il comandante del Reparto Mobile di Roma lo ammonisce così: “Io l’ho già detto a Donati, adesso lo ripeto pure a voi: io i miei non li tengo più”.
In questa frase molte persone hanno voluto rintracciare delle attenuanti ai fatti commessi alla Diaz: “Stavano impazzendo, erano giorni che si beccavano pietre e insulti in faccia, hanno semplicemente perso la testa”; “si sono pompati prima, ci scommetto”, ha aggiunto qualcun altro. Ammettiamo che vada bene. 

E il post, quanto poi è successo nella caserma di Bolzaneto allora? Come si spiega quello che è stato fatto dopo quella notte, la mattina e il giorno seguente, a mente fredda, dopo aver probabilmente dormito, dopo essersi ripresi da quella furia ed essere tornati in caserma, nei loro letti o nelle loro case, dopo aver fatto colazione, essersi rivestiti, senza poter addurre nessuna scusante assimilabile al “Si sono fatti prendere la mano dal momento”?
Lo vedremo, la sentenza su Bolzaneto deve ancora arrivare. Di certo, oggi, c’è una sentenza giunta 14 anni più tardi, ma in maniera esemplare. Le parole della Corte Suprema dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo definiscono le violenze della Diaz una forma di “tortura”, in contrasto con l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. 

Se queste parole sono state pronunciate il merito va attribuito al ricorso presentato da Arnaldo Cestari, allora sessantaduenne, che, nonostante le braccia alzate in segno di resa, fu picchiato alla testa, alle braccia e alle gambe, riportando fratture multiple che gli valsero non solo molti ricoveri ospedalieri negli anni seguenti, ma anche la consapevolezza di aver riportato fratture permanenti al braccio e alla gamba destra. 

Così come permanenti restano le ferite di altri tra quelle 87 persone massacrate nella scuola Diaz; ferite esterne come quelle di Arnaldo Cestari, o interne come quelle di chi non riesce nemmeno più a mettere piede alla Diaz e tantomeno a Genova per paura dei fantasmi di quella notte.

Spero di non causare altre perdite di sensi, ma vorrei dare un consiglio a tutti: guardate il film.

E guardate cosa siamo stati in grado di permettere, tollerare e spesso dimenticare in questi anni.

Elle Ti
@twitTagli

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