Rincorrendo Springsteen per una promessa – (Firenze)

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Seconda tappa: 10 giugno 2012

Ovviamente, pur avendo mesi per preparare la triplice trasferta, ho lasciato che giugno arrivasse senza neanche prenotare il treno. È Lore “la mente”: non a caso mio fratello lo ha soprannominato così in onore di un personaggio del fumetto Alan Ford. Ma non potendo contare sull’efficienza operativa di Lore per le tappe di Firenze e Trieste, mi ritrovo a sguazzare nel pressappochismo.

 

Qualche settimana prima avevo parlato con Alessandro, che mi aveva detto di avere i biglietti per Milano e Firenze. “Magari andiamo insieme” ci eravamo detti, senza però scambiarci neanche il numero di telefono…

Riusciamo comunque a parlarci tramite un amico comune che gli dà il mio numero: “Io e un mio amico vogliamo partire sabato, così proviamo a prendere il braccialetto per stare sotto il palco. Li distribuiscono alle 8 di domenica mattina!” mi dice. E mi sembra una follia, soprattutto perché il giorno dopo io devo andare anche a Trieste…

 

Però mi ritrovo sabato mattina senza aver deciso ancora niente, e allora richiamo Alessandro che mi dice: “Partiamo stasera alle 18. Tu che hai deciso?” “Va bene, vengo anche io! Dimmi in che albergo siete che prenoto.” cedo di schianto.

Ci ritroviamo così alle sei in Piazza Madama Cristina, dietro Porta Nuova. Io, Alessandro e Giampaolo. Loro due springsteeniani veri, io alla fine pur sempre un neofita. Partiamo e Alessandro tira fuori dallo zaino il bootleg del concerto inaugurale del tour 2012 di Springsteen, all’Apollo Theatre di New York: partiamo proprio bene, insomma.

 

Tra una chiacchera e l’altra, parliamo del giorno dopo. Giampaolo dice: “Visto che abbiamo fatto trenta partendo stasera, facciamo anche trentuno: andiamo davanti allo stadio a capire bene com’è la situazione. Perché se vediamo che c’è già tanta gente accampata tanto vale che passiamo anche noi la notte li. Non ha senso essere partiti adesso, altrimenti, no?”. In effetti…

Alle 23.30 ci siamo dunque ritrovati di fronte ai cancelli dell’Artemio Franchi di Firenze. E forse non ci crederete, ma c’era proprio un sacco di gente…

 

 

Ad un punto informazioni ci confermano che alle 8 dell’indomani mattina consegneranno 1500 braccialetti per entrare nel pit sotto il palco e che alle 12 faranno l’estrazione per decidere l’ordine con cui entrare al momento dell’apertura dei cancelli, alle 14. Poi il ragazzo allo sportello aggiunge con tono da carbonaro: “Ragazzi però vedete quella ragazza laggiù in fondo? Fa parte di un’organizzazione non ufficiale di fans. Stanno facendo una lista per l’ordine di ingresso. L’organizzazione ufficiale non la riconosce ma tende a rispettarla…”.

 

Ci avviciniamo allora a questa ragazza che, insieme a un altro gruppo di persone, ci spiega le regole (la nazionalità di queste persone non si capisce bene: credo siano tedeschi, un po’ per l’accento che mantengono pur parlando in un buon inglese, un po’ per questa mania di fare liste e assegnare numeri…). “Funziona così: vi mettiamo in lista e vi scriviamo il numero sulla mano. Domani mattina alle 6 facciamo l’appello e ci mettiamo in fila. Quando arrivano quelli dell’organizzazione entriamo ordinatamente, così non ci sono problemi. Dovete essere qui alle 6 però, mi raccomando, sennò poi gli altri in fila non vi fanno passare. Al momento siamo già cinquecento in lista credo che arriveremo a 1500 molto presto…” E noi senza indugi ci mettiamo chiaramente in lista. Con i nostri bei numeroni verdi sulle mani andiamo dunque a dormire: è mezzanotte e la sveglia sarà alle cinque, non male considerando che a occhio e croce il concerto finirà a mezzanotte circa…

 

La mattina dopo, alle 5.15 siamo già operativi: l’ansia di mancare all’appello ci fa quasi correre fino al vicino stadio. Ritornati davanti al cancello rimango di nuovo allibito: siamo davvero tantissimi, molti di più di quanto ti aspetteresti alle cinque e mezza di mattina per un concerto che inizierà quasi quindici ore dopo.

I ragazzi presumibilmente tedeschi della “non”-organizzazione iniziano a dividerci per gruppi di centinaia, ci mettiamo in fila e iniziamo a conoscerci un po’ tutti.

Lo spettacolo di gente varia che mi si para davanti è eccezionale: famiglie con bambini piccoli, mamme e papà con figli adolescenti al seguito, e soprattutto tante tantissime persone di ogni età che erano anche a Milano (e che saranno anche a Trieste).

 

Tutti parlano dei mille concerti che hanno visto, per certi versi è come quando ci si trova tra podisti. Lì si parla di tempi: “Quanto fai in mezza? E oggi quanto tieni al km? Io pensavo quattro e quindici ma non so…”; mentre qui si sentono frasi come “Ma tu c’eri a Milano ’85? Io no ma ero a Parigi quell’anno, gran concerto… Anche se devo dire che Torino ’88 non si supera!”.Una signora dietro di noi ci confessa di aver pedinato Bruce per le vie di Milano. O meglio, di aver costretto il marito a seguire la macchina di Bruce con la Vespa, fino a quando non è stato notato e seminato. “Ma è riuscito a prendere la targa e io mi sono messa a girare finché non l’ho trovata!” Ci fa vedere fiera la foto che ha fatto, e io la invidio tantissimo… Anche perché, al di là di questo racconto da stalker, la signora è una persona all’apparenza perfettamente ordinaria, una qualunque mamma cinquantenne con il figlio al seguito. Certo, suo figlio ha per lei la funzione di database… Quando non si ricorda una data lei si gira: “Marco nel 1988 che giorno era?” e Marco “21 luglio”. Peccato che Marco sarà nato nel 1990…

 

Ad ogni modo la fila procede abbastanza ordinata, anche se io mi devo assentare per andare a ritirare il biglietto comprato on-line. Al mio rientro hanno già  iniziato a fare entrare e Alessandro e Giampaolo hanno passato i cancelli. Io inizio a imprecare: “No, no! Non possono non farmi entrare!”. Ma arrivo talmente deciso al cancello, mostrando biglietto e scritta sulla mano, che il tizio della security neanche accenna a fermarmi.

Siamo così nuovamente in fila. Oggi va così: è già la terza e sono solo le 7.30 di mattina.

 

Poco dopo le 8 finalmente ho il braccialetto al polso. E quasi non ci credo: sotto il palco al concerto del Boss, non lo avrei mai sperato.

A mezzogiorno sono previsti i sorteggi per l’ordine di ingresso. Inizialmente pensiamo di non partecipare: vorrebbe dire mettersi di nuovo in fila alle 12 per poi entrare alle 14, e cioè oltre sei ore prima dell’inizio del concerto. Ma l’atmosfera che si respira tra le mille e cinquecento persone lì presenti è elettrica: gente di tutte le nazioni e le età che si parla e sorride, molti si conoscono bene pur venendo dalla bassa reggiana o dalla Scandinavia. “A sto punto facciamo anche la lotteria” sentenzia, quasi come una conseguenza, il buon Alessandro. E così sia.

Facciamo un’abbondante colazione e un giro in piazza del Duomo. Compriamo un k-way da 99 centesimi, visto che le previsioni sono pessime, e alle 12 siamo di nuovo intruppati in attesa dell’estrazione.

Un bambino viene chiamato a effettuare l’estrazione, mentre noi siamo divisi in gruppi da cento: io ho il 459. Dal megafono si sente il numero ma io non capisco, perché il gruppo a fianco a me inizia a urlare a squarciagola… È uscito il 353, scopriamo.

Questo vuol dire che entreremo subito dopo i primi cento…

 

Con Alessandro e Giampaolo ci guardiamo increduli: da non voler partecipare a essere estratti quasi per primi…

Io non sono neanche particolarmente stupito, anzi sono sicuro che qualcuno di mia conoscenza ci abbia messo lo zampino. D’altronde stamattina avevo proprio pensato: “Magari capito sotto il palco del Boss, meglio mettere la primissima maglietta che avevamo fatto stampare per i Braders!

Ci mettiamo in fila, abbiamo pochissime persone davanti. Alle 14 aprono i cancelli; cercando di seguire le indicazioni della security – “Non correte!!!” – a passo svelto arriviamo sotto al palco e ci piazziamo sulle transenne: prima fila. A portata di mano c’è la pedana dove spesso il Boss scende per cantare, gliel’ho visto fare a Milano. Sono frastornato, eccitato come un bambino a Gardaland. Ogni tanto allungo la mano pensando “Sono troppo vicino, se viene qua forse riesco a toccarlo!”.

 

Piano piano arrivano anche gli altri. Si vede che ci invidiano, ma c’è una sorta di codice non scritto: nessuno cerca di rubare il posto agli altri, una sorta di “Stavolta è toccato a voi”. Quindi a turno si riesce anche ad andare in bagno e a prendere da mangiare.

La giornata però è lunga. Alessandro riesce anche a lavorare (si è portato dei documenti da leggere) e dormire, mentre io e Giampaolo ci annoiamo a morte. Non ci resta altro da fare che osservare le persone che ci circondano: due irlandesi stravolti dalla stanchezza e pieni di braccialetti di altri concerti del Boss di chissà quali Paesi, una famiglia di tre generazioni di tedeschi (o comunque cruccofoni), una signora ferrarese, una coppia di cinquantenni e una signora con il figlio di più o meno 15 anni. Ripeto, spettacolo di gente varia. Noto poi un gruppo di ragazzi agguerritissimi in prima fila: conoscono  tutti quelli che lavorano sul palco, li chiamano per nome e loro rispondono con un gesto o con un saluto (di loro ne riparleremo a Trieste). Io e Giampaolo siamo allibiti e un po’ iniziamo a riderne. Va bene essere scatenati, ma così è troppo persino per noi.

Verso le 18.30 l’organizzazione deve riempire il pit e ci fa alzare. Inizia una lunga attesa, ma l’ambiente è sempre più elettrico, il Franchi è quasi del tutto pieno, partono i primi cori. Il cielo è sempre minaccioso ma io faccio finta di non notarlo, non me ne voglio preoccupare. Dalle 19.30 è pura bolgia: il pit è stracolmo, ma nella nostra posizione leggermente defilata stiamo comodi e stento davvero a credere in tanto ordine. Sarà che sono abituato ai concerti dei Metallica, dove volano spintoni anche in mezzo allo stadio e in prima fila è una guerra.

Alle 20.30 si spengono le luci e arriva il Boss.

A Milano era partito con due canzoni dall’ultimo album, e mi aspetto una partenza simile, carica ma tranquilla. Sta per partire e realizzo di quanto sia vicino. Sono stordito ma passa tutto quando il Boss attacca: One, two, three…” e partono le note di Badlands (a Milano era arrivata solo per terza). Altro che partenza tranquilla…

Alessandro, persona pacatissima e avvocato di un certo livello, trasfigura: è la sua canzone preferita (e sicuramente nella mia top 3, peraltro). Impazzisco insieme a lui, iniziamo a saltare come dei pazzi e tutto il Franchi di certo non è partito “freddo”: siamo già tutti caldissimi. Il Boss cambia la scaletta rispetto a Milano anche se la “struttura” fondamentale è la stessa: solidissima e travolgente. Il Boss è in forma splendida, in gilet mezze maniche e una voce magnifica. La prima volta che scende dal palco e viene verso di noi perdo la testa e come un pazzo cerco di toccarlo ma non ce la faccio. Mi sento una groupie di quindici anni, ma è più forte di me.

Dopo poco più di un’ora e mezza inizia a piovere. Inizialmente piano, poi è il diluvio. Noi ci mettiamo il k-way, che poco può però, perché viene giù davvero forte.

Il Boss letteralmente impazzisce: lui è un drogato di palco e di gente, e vedere che nessuno accenna a smuoversi nonostante il diluvio universale che ci sta venendo addosso lo esalta oltre ogni limite umano. Non che prima non fosse carico, ma adesso è letteralmente indemoniato. Passa molto più tempo in mezzo a noi, sotto la pioggia, non accenna mai a coprirsi e di rado torna in mezzo alla band, che se ne sta all’asciutto. Io sono sempre più incredulo per lo spettacolo magnifico al quale sto assistendo. Anche perché nel cambio di scaletta “mi fa” un paio di canzoni che desideravo tanto ma non mi aspettavo: Prove it all night e Trapped.
Arriva il momento di Dancing in the Dark. La fa spesso alla fine del concerto, e come nel video, dove invitava una giovanissima Courtney Cox a ballare con lui, sceglie una ragazza da far salire sul palco. La sceglie proprio dal gruppetto di scalmanati a fianco a me e quindi sta a lungo a portata di mano: come la groupie quindicenne di cui sopra mi allungo fino a quando non riesco a toccargli la mitica Fender. Sono fuori di me per la gioia…

 

Sono ormai 3 ore che questo demonio canta, e almeno un’ora che si prende una pioggia battente che metterebe ko un ragazzino. Ma lui niente, continua a tuonare.One two three…”: parte (come a Milano) con Tenth avenue freeze-out, dall’album Born to run, una sorta di biografia della sua band. Al verso “When the change was made and the Big Man joined the band” tutti si immobilizzano e partono le immagini di Clarence Clemons, il sassofonista scomparso: il Boss sta per tutto il tempo (circa un minuto e mezzo) con il microfono in alto, immobile sotto la pioggia mentre ci invita a urlare per the Big Man. Ma il Boss non ha ancora dato tutto, anche perché il Franchi ormai è in sua balia e non vuole saperne di “andarsene in pace”: la “messa rock” non è affatto finita.

Bruce ci dice: “Florence, you’re fucking die hard, but we are die hard too! One two three four…” e come a Milano si lancia con Twist and Shout, stavolta tutta cantata sotto la pioggia.

 

Già, la pioggia. Ne stiamo prendendo davvero a secchiate, e il Boss lo sa meglio di noi. E sa anche che tutti noi ci aspettiamo ancora un pezzo, che fa solo ogni tanto, proprio quando piove sul suo pubblico. E non sia mai che Lui lasci il suo pubblico scontento! Un breve cenno alla E Street band e si parte: Who’ll stop the rain, dei Creedence Clearwater Revival, eseguita in maniera splendida. Finito l’ultimo ritornello ormai Bruce è impazzito: non si contiene più, si piazza fuori dal palco e mentre la band suona ancora, sta un altro minuto a “sfidare” il cielo.

Come a dire: dovevi fare di meglio per fermare il mio rock…

 

L’orologio dice che ha suonato tre ore e venti. Meno che a Milano, certo, ma le statistiche contano poco, è stato un concerto magnifico e sontuoso e io ero in prima fila.

Quando Bruce se ne va, io, Alessandro e Giampaolo ci guardiamo come per dire: “Ma ci rendiamo conto di ciò a cui abbiamo assistito?! E da dove?!

 

Io personalmente so chi devo ringraziare: non è stata né una fortuna e neanche una coincidenza. Sono capitato lì sotto semplicemente perché così doveva essere, poche storie. Ne ho la conferma qualche ora dopo, quando sul sito ufficiale del Boss vengono postate una decina di foto del concerto di Firenze: in ben quattro si vede un k-way azzurro sotto la quale si può scorgere, con un po’ di attenzione, la scritta Braders.

 

Domenico Cerabona
@DomeCerabona
 

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