Appena 8 anni fa sulle coste degli USA si abbatteva uno tra gli uragani più potenti della storia, Katrina, che il 29 agosto 2005 colpì la città di New Orleans seminando morte e distruzione nel raggio di svariati chilometri. Alla fine il conto delle vittime fu pesante come un bollettino dal fronte: 1.836 persone persero la vita, altre 705 sono ancora listate come disperse: oltre 2.500 vittime, quasi quante l’attentato alle Twin Towers, nel paese più potente del mondo.
Meteorologicamente parlando, un uragano è un ciclone tropicale, ossia un’area di bassa pressione (una depressione, in termine tecnico) estesa per centinaia di chilometri, con caratteristiche peculiari diverse dai cicloni subtropicali (per intenderci, le perturbazioni nostrane).
Uragano deriva da “hurican”, la divinità del mare secondo le popolazioni caraibiche pre-colombiane. In realtà lo stesso fenomeno meteorologico assume nomi diversi a seconda delle regioni: Tifone in Giappone (che deriva da “dai feng” che in mandarino vuol dire “grande vento”), Bagyo nelle Filippine, Willy-Willies in Australia. Il ciclone tropicale infatti non è un fenomeno solo prettamente caraibico: tutte le regioni tropicali teoricamente possono essere investite da un ciclone – ad esempio, Giappone, Filippine e Australia sono spesso interessate da questi fenomeni durante l’anno. Per definizione, un ciclone tropicale è una perturbazione con venti con velocità superiore ai 100 km/h.
A rendere letale questo tipo di perturbazione è proprio il vento. Se nelle trombe d’aria (di cui abbiamo parlato in precedenza) la velocità massima è di circa 500 km/h, nei cicloni si arriva al massimo a 300 km/h. Ma la grossa differenza è che i tornado durano alcuni minuti, mentre gli uragani possono durare giorni interi. Inoltre, il raggio di un tornado è di qualche metro, quello degli uragani di svariati chilometri.
La formazione degli uragani è stata a lungo studiata, ma non siamo ancora bene riusciti a capire i meccanismi di formazione: al giorno d’oggi, l’idea generale è che gli uragani si formano sopra l’oceano in presenza di acque con temperature maggiori a 26°C (questo limita il periodo degli uragani all’estate), in presenza di una depressione di una depressione di circa 20 hPa e in presenza di instabilità atmosferica. Altra caratteristica importante è l’assenza di cambiamento nella direzione del vento in quota (che potrebbe dissipare la perturbazione).
Anche alle nostre latitudini, in una situazione di bassa pressione abbiamo una convergenza di venti in superficie che spinge l’aria a salire in quota. L’aria che sale in quota nel caso dei cicloni, però, è calda (viene riscaldata dall’oceano) e umida, il vapore acqueo che sale condensa, liberando energia (sotto forma di calore latente). Questa energia rafforza il minimo, che diventa ancora più profondo e risucchia sempre più aria umida dagli strati superficiali. I venti aumentano con il diminuire della pressione, creando così un uragano, con al centro un area in cui i venti sono calmi (detta “occhio del ciclone”).
Gli uragani perdono energia solo quando toccano la terraferma, proprio perché il meccanismo descritto sopra non funziona più; in alcuni rari casi, però, riescono a tornare nell’oceano dopo essere passati nella terraferma, ricominciando il ciclo.
L’altra componente che interviene negli uragani e che li rende ancora più devastanti è appunto l’oceano: lo stress del vento sulla superficie marina causa onde alte oltre 10 metri, che provocano gigantesche inondazioni. Katrina fu così devastante proprio per il fatto che l’effetto combinato di onde e vento distrusse gli argini che proteggevano la città dalle inondazioni (pochi lo sanno, ma New Orleans è stata costruita in un’area che è al di sotto del livello del mare: solo gli argini proteggono New Orleans dalle forti mareggiate). Fu così che l’acqua entrò in New Orleans causando morte e devastazione.
Katrina, tuttavia, non fu l’uragano più potente della storia, né il più grande, né il più disastroso. L’uragano più grande fu l’uragano Tip che avvenne nel Pacifico nel 1979: aveva un diametro di 2.220 km, i suoi venti raggiunsero i 300 km/h e il minimo di pressione arrivò fino a 870 hPa (un altro record mai eguagliato); le aree colpite furono la base americana di Guam e il Giappone, le vittime furono 86. Quello più potente invece colpì nel 1900 il Texas, per la precisione Galveston, causando in tutto il suo cammino ben 8.000 morti. Quello più devastante invece colpì il Bangladesh nel 1979, lo stesso anno di Tip: la maggior parte del Bangladesh si trova a meno di 12 metri sopra il livello del mare e il passaggio dell’uragano causò oltre 300.000 morti.
Qualcuno potrebbe pensare che sono cose lontane. No. Non lo sono.
Queste immagini sono del 1996, quando l’uragano mediterraneo Cornelia si formò nelle Isole Baleari, spostandosi verso est. Questa tempesta (che in gergo meteorologico si chiama TLC, Tropical Like Cyclone, oppure Medicano) causò venti fino a 150 km/h e piogge torrenziali. Ovviamente sono eventi rarissimi, ma secondo gli scienziati la loro frequenza potrebbe aumentare a causa del riscaldamento globale, che causerebbe anche uragani più frequenti e potenti laddove già sono presenti.
Alessandro Sabatino