Qualche giorno fa una giocatrice professionista statunitense di poker si è classificata al primo posto nel torneo “High-Roller” (tornei con iscrizioni così elevate da attirare sostanzialmente solo professionisti) della PCA (Pokerstars Caribbean Adventure) – una di quelle manifestazioni pokeristiche dalla durata breve (rispetto ai circuiti del World Poker Tour o delle World Series of Poker, che prevedono decine di tornei), ma indubbiamente di grande prestigio e dai notevoli montepremi.
Vanessa Selbst ha 28 anni e con il suo trionfo raggiunge la notevole cifra di 7 milioni e fischia di denaro vinto nei tornei dal vivo in carriera: abbastanza da renderla la donna più vincente di sempre nel poker, superando Kathy Liebert.
Tuttavia il paragone con le altre professioniste non rende sicuramente giustizia a questa ragazza, perché Vanessa non è solo la donna più forte che si sia mai vista ad un tavolo verde ma ha anche un palmares di vittorie, ottenute negli ultimi quattro-cinque anni, mastodontico rispetto all’intera carriera di molti suoi colleghi maschi.
Un’enumerazione rapida e sommaria dei principali successi vede: due braccialetti WSOP (nel 2011 e nel 2012), due vittorie consecutive alla tappa principale del North-America Poker Tour, una vittoria al Partouche Poker (altra manifestazione pokeristica di statura minore, ma di elevato prestigio), due vittorie e un terzo posto al World Poker Tour (il terzo posto ottenuto nel torneo più importante di tale circuito, il Doyle Brunson Five Diamond) e un’altra ventina di piazzamenti a premi.
Tutto questo in cinque anni vissuti da protagonista in un mondo dove ogni giorno spunta fuori qualche nuovo genio del poker online, capace di mettere in crisi i professionisti della vecchia scuola. Attualmente Vanessa è 40° nella classifica dei maggiori vincitori di tutti i tempi e risulta quinta nella classifica “Global Poker Index”, che tiene conto di quando sono stati ottenuti i risultati e di quanto tempo è passato tra uno è l’altro (la classifica viene aggiornata settimanalmente, quindi per visualizzare il balzo in avanti dovuto a questo nuovo successo, occorrerà aspettare ancora qualche giorno).
La Selbst è anche laureata in giurisprudenza all’università di Yale, e frequenta un dottorato in legge presso lo stesso ateneo, con l’intenzione di intraprendere una carriera nel campo dei diritti civili (vale la pena notare che Vanessa è orgogliosamente lesbica).
I suoi successi, in un ambiente tradizionalmente a maggioranza maschile, sono sicuramente un buon segno per il mondo del poker, ma possono stimolare una riflessione anche in chi non segue questo sport (perché di sport si tratta): Vanessa si è più volte espressa contro la presenza, in molti circuiti torneistici, e in particolare alle World Series Of Poker, di tornei riservati alle sole donne.
È pur vero che le sue vittorie sono iniziate proprio ad eventi simili, e che anche oggi non si fa problemi a prendervi parte (alla fine, il gusto di giocare e vincere prevale su tutto il resto); ma vale la pena analizzare il perché di questa sua contrarietà, ovvero che Vanessa ritiene (e a ragion veduta) ingiusto e discriminatorio che le donne vengano considerate una categoria inferiore, svantaggiata, come se fosse un campionato di sollevamento pesi. Dal momento che non esistono motivi che rendano le donne tendenzialmente inferiori agli uomini, nel poker, non si capisce quale sia l’esigenza di organizzare i “Ladies’ Events“, se non per esigenze di spettacolo e di pubblico – il che, volendo, è anche peggio.
Un ragionamento che secondo me vale la pena di trasferire in molti altri campi, a cominciare dalla politica: ultimamente si è sentito molto parlare di quote rosa e dei ruoli delle donne nel mondo politico italiano e internazionale. Secondo me il presupposto di fondo delle quote rosa è analogo, e altrettanto sbagliato, di quello che sta dietro ai tornei per sole donne: una sorta di processo di ipercompensazione che nelle intenzioni combatte il sessismo, ma nei fatti lo legittima.
Il fatto che una donna diventi ministro, o che sia candidata in una lista elettorale, dovrebbe essere un riconoscimento alle sua capacità, non un contentino al mondo femminile; un elettore deve votare una donna perché la ritiene degna di rappresentarlo, e non perché il partito gli chiede di equidistribuire il suo voto tra i due sessi.
Una volta le donne venivano escluse dai ruoli di potere “in quanto donne”, oggi vengono candidate a ruoli di potere sempre “in quanto donne”: così non si fa altro che porre ulteriormente l’accento sulle differenze di genere. Il sessismo verrà sconfitto quando si smetterà di guardare il genere di una persona, e si guarderanno esclusivamente le sue competenze; paradossalmente, un mondo realmente libero dalle discriminazioni di genere è un mondo dove, se un leader di coalizione decidesse di formare un governo di soli uomini, nessuno si lamenterebbe, perché la sola idea che questa scelta possa essere il frutto di una discriminazione sarebbe semplicemente inconcepibile. Vorrebbe dire che in quel momento il leader si è trovato a disposizione degli uomini con competenze maggiori delle donne (e naturalmente, il medesimo comportamento dovrebbe avvenire nel caso di un governo formato da sole donne).
È chiaro che la mia è una visione utopica, ma quello che credo sinceramente è che il modo migliore per educare la società alla parità dei sessi sia quello di darla per scontata, e di guardare come un poveretto retrogrado e buzzurro chi non fa altrettanto, non di candidare e nominare a tutti i costi delle donne, per dar loro il contentino.
Luca Romano