Da dove viene la passione mondiale per la famiglia reale inglese?
È stato affascinante curiosare nelle reazioni del mondo alla morte del Principe Filippo. Dal nastro nero di google, al post di Obama, passando dai titoloni di quasi tutti i giornali europei alla notizia di lancio della CNN. Politico.eu, il cuore informativo della bolla di Bruxelles, apriva ieri con un lungo reportage anche in tarda serata, si salvava solo il New York Times che lo nascondeva in basso a sinistra, il lungo reportage.
La BBC fa ovviamente la sua parte trasmettendo in tutto il mondo, a reti unificate, uno speciale senza interruzioni che va avanti dal momento dell’annuncio (ricevendo una mole tale di proteste per l’agiografia reale a spese dei contribuenti da dover semplificare la procedura dei complaints). C’è un tocco vintage in questa propaganda d’altri tempi che copre una vita lunga un secolo in questa prova generale per l'”altro” funerale (announcement code “London Bridge is down“). Ma c’è anche la massima espressione di quel che resta dell’ultimo potere imperiale su cui non tramontava mai il sole. La narrazione dei mirabili “achievements” del defunto marito da parte della pletora di corrispondenti reali, è funzionale sia a rinsaldare la legittimità dell’istituzione sia a catturare l’attenzione del mondo su quella soap opera reale che ha fatto della Regina Elisabetta un icona pop, consacrata perfino da Andy Wharol.
Tutto iniziò proprio col Principe Filippo, a capo del team che curò la cerimonia di incoronazione della Regina. Correva l’anno 1953 e Londra era ancora percepita da chi era rimasto indietro in geopolitica come il centro del mondo che conta. Filippo decise di trasmettere l’incoronazione in diretta TV, trasformando per la prima volta uno spettacolo reale nell’inizio di un reality show che dura ormai da qualche decennio, la favola bella di principi e principesse e dei matrimoni incantati dall’ultima corona che conta. Continuò negli anni ad incoraggiare “the family firm” ad essere piu telegenica conquistandole un posto nel mondo moderno della videocrazia, sceneggiatore ante-litteram di the Crown.
Si prendono maledettamente sul serio i reali inglesi, più e meglio dei membri di qualunque altra casa reale del mondo, come più e meglio di qualunque altro paese al mondo si prende maledettamente sul serio il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, un branding, piu che un paese, peraltro decisamente in crisi d’immagine tanto a Nord del Vallo di Adriano quanto a ovest dell’Irish Sea, per non parlare dei nipoti.
D’altronde le cabine rosse sono in disuso e il bus a due piani l’ha screditato la balla sui soldi alla NHS. Si spiega anche cosi la Brexit che è lo specchio riflesso di questo magestico sfoggio di overconfidence e self-entitlement e del suo stridente contrasto con la realtà di diseguaglianze di classe e di gaffes rivelatrici della banalità dei mali del principe e del Regno. Ma se la BBC fa la sua parte istituzionale nel narrare il prestigio sbiadito di un potere sempre piu soft e una tradizione sempre meno cool, ai sudditi che devono continuare ad essere tali, nel resto del mondo, la curiosità quasi morbosa per questo potere anacronistico e in perenne declino deve avere qualcosa a che vedere con qualcosa di piu profondo. L’irreversibile scorrere del tempo e della storia e la suggestione quasi mistica che qualcosa o qualcuno, da qualche parte, possa in fondo sfuggirvi. Vi capiamo, amici monarchici con le monarchie degli altri. Eppure il sogno di una Repubblica per i molti continua ad apparirci più attraente di una monarchia dei pochi che non finisce mai.
Andrea Pisauro