Quell’antisemita di Henry Ford

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Henry Ford, fondatore della Ford Motor Company, la celebre casa automobilistica, intravedeva i tentacoli di una piovra ebraica in ogni settore della vita americana, dall’industria cinematografica di Hollywood, che secondo lui promuoveva nella popolazione costumi e idee corrotte, contrarie allo spirito cristiano, fino alla nuova moda della musica jazz.
Riteneva che gli ebrei controllassero il traffico degli alcolici e della prostituzione, e truccassero le partite del campionato di baseball. Persino negli anni più bui della storia americana Ford ravvisava la firma inequivocabile della loro cospirazione: gli ebrei avrebbero detenuto il monopolio del traffico degli schiavi e architettato a tavolino la secessione del Sud per provocare la guerra civile.

Questa allucinante sfilza di teorie del complotto antisemite fu pubblicata fra l’ottobre 1920 e il maggio 1922 sul giornale di Ford, il Dearborn Independent, in una lunga serie di articoli, successivamente raccolti in un unico testo intitolato L’ebreo internazionale.  

Ford era stato ispirato dalla lettura di un’opera maledetta del Novecento, i Protocolli dei Savi di Sion, un falso confezionato all’inizio del secolo dalla polizia segreta zarista, l’Okhrana.
I Protocolli, frutto dell’assemblaggio di vari testi, tra cui persino brani di romanzi, descrivevano un imponente piano organizzato dagli ebrei per ottenere il dominio assoluto del mondo. Tuttavia, dietro la loro fabbricazione, si celava una manovra politica dello zar, che progettava di ostacolare la modernizzazione liberale della Russia attribuendola a un complotto ebraico.

A partire dal 1919 gli emigrati russi anticomunisti esportarono i Protocolli in Europa occidentale, con la speranza di convincere le potenze dell’Intesa a inviare truppe a sostegno delle forze antibolsceviche nella guerra civile.
All’ampia propagazione del falso contribuì una positiva recensione del Times di Londra, che ne considerò profetico il contenuto, nonostante diversi stralci fossero stati incorporati solo nel 1919.

Nel febbraio 1920, si sbilanciò a favore del testo addirittura Winston Churchill, allora ministro della guerra: in un articolo sull’Illustrated Sunday Herald sostenne l’esistenza di una cospirazione ebraica mondiale che si perpetuava nei secoli, dalla Rivoluzione francese fino a quella russa.
La denuncia della falsità dei Protocolli da parte del Times giunse, con colpevole ritardo, solo nel 1921.

Negli Stati Uniti il più zelante divulgatore dei Protocolli fu proprio Henry Ford, che, tuttavia, non si limitò a diffonderli, ma li rese anche appetibili per il pubblico americano, aggiungendovi considerazioni personali sulla nefasta influenza ebraica nella società d’oltreoceano.

L’ebreo internazionale divenne un bestseller negli Stati Uniti e anche in Germania, dove fu letto con interesse da Adolf Hitler, che non a caso si premurò di citare Ford nel Mein Kampf.
Le teorie antisemite del magnate dell’industria ebbero un impatto significativo in un’America scossa dal primo conflitto mondiale, dalle tensioni sindacali, dalle rivolte razziali, dalle agitazioni anarchiche e dall’ininterrotto afflusso di immigrati europei.

Il refrain dell’antisemitismo non tardò così a giungere alle orecchie di autorevoli personaggi del mondo della politica, del giornalismo, delle università e della letteratura: il preside di Harvard suggerì di limitare il numero di studenti ebrei, e lo scrittore Kenneth Roberts espresse tutta la propria disapprovazione per il melting pot, giacché, a suo dire, avrebbe condannato la razza nordica americana a mescolarsi con quelle inferiori degli immigrati.
Il tutto avveniva mentre la propaganda moralizzatrice del rinato Ku Klux Klan sfondava dalle campagne nelle città, attraendo esponenti dell’agiata classe media americana fino a raggiungere la quota allarmante di 4 milioni di adesioni.

In una lunga intervista rilasciata alla rivista Collier nel 1923, Ford non solo non nascondeva la sua ostilità verso gli ebrei e i sindacatiVoi probabilmente pensate che i sindacati siano stati organizzati dal lavoro, ma non è così. Sono stati organizzati dai finanzieri ebrei»[1]) ma ammetteva anche di non aver ancora deciso se cedere alle lusinghe di chi lo avrebbe voluto candidare alla presidenza degli Stati Uniti, presumibilmente in un ticket elettorale di stampo populista (il Partito Progressista del Popolo).
Inoltre, esprimeva perplessità sull’efficacia della democrazia come sistema di governo:

«L’industriale ha dovuto scoprire cosa vuole la gente e darglielo. Il politico può appena accontentarsi di scoprire cosa la gente pensa di volere e prometterglielo. Non bisognerebbe meravigliarsi se alla fine l’industria assorbisse il governo politico. […] È possibile che ci sia una guerra o una crisi del genere, in cui il legalismo, il costituzionalismo, ecc. non sarebbero immaginabili, e la nazione vorrebbe una persona che fosse capace di agire e di farlo rapidamente»[2].

Nel 1927 Ford ritrattò con pubbliche scuse gli articoli antisemiti comparsi sul suo giornale, affermando di non averne approvato personalmente la pubblicazione. La stampa di New York mise però in dubbio le sue professioni di innocenza.
Nonostante l’apparente ravvedimento, infatti, Ford continuò a coltivare di nascosto idee antisemite. I leader sindacali presentarono proteste formali contro i capireparto degli stabilimenti della Ford: ai lavoratori veniva distribuita propaganda antisemita per delegittimare il sindacato collegandolo a un complotto ebraico-comunista.

Nel luglio del 1938, per il suo 75° compleanno, Ford ricevette dal suo grande ammiratore Hitler la Gran Croce dell’Ordine dell’Aquila, la massima onorificenza per i non tedeschi. La foto a lato documenta la cerimonia alla presenza dei consoli di Germania di Cleveland e Detroit.

Jacopo Di Miceli
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[1] Cit. in Seymour Martin Lipset e Earl Raab, The Politics of Unreason. Right-Wing Extremism in America, 1790-1977, University of Chicago Press, Chicago 1978, p. 138.

[2] Cit. in ibidem.

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