
Sono stato poco più di tre settimane negli Stati Uniti d’America: mi sono fatto un’idea di questo paese un pochino più approfondita, meno parziale rispetto ai miei precedenti due viaggi a stelle e strisce.
Ecco dunque una lista ‘a coppie’. Mi spiego meglio: ognuna delle seguenti coppie rappresenta i classici due lati della medaglia. La prima frase rappresenta ciò che mi mancherà degli States; la seconda, ciò che sono ben lieto di lasciare là…
Incominciamo:
1) La netta sensazione che se hai talento, intraprendenza, fegato e un pizzico di fortuna qui puoi davvero ‘farcela’, anche indipendentemente dalla condizione di partenza. Insomma sembra davvero la terra delle opportunità.
L’altrettanto netta sensazione che se non ce la fai sono fatti tuoi, nessuno verrà a darti una mano, di certo non lo Stato. E anzi, se non ce la fai è perché sei un cretino, indipendentemente dalle condizioni di partenza.
2) L’incredibile offerta di trasporti pubblici alternativi al mezzo privato. Metro, bus, sopraelevata, taxi a poco prezzo. Nelle grandi città come nei piccolissimi centri si può vivere bene, anzi spesso meglio, senza la macchina.
La scontrosità media di chi lavora nel settore dei trasporti pubblici. Sono un turista, non conosco la città né il suo sistema di trasporti, abbi un attimo di pazienza e – soprattutto – non parlate alla velocità della luce, per Dio!

3) La – mediamente – disarmante cortesia di camerieri e, più in generale, di chi lavora a contatto con il cliente. Sì ok, è perché qui quasi tutti quelli che lavorano nel settore campano di mance, ma vabbè.
La – questa volta generale – molestia di camerieri e commessi in genere. Ogni trenta secondi capita qualcuno a farti una domanda, a toglierti un piatto o a riempirti un bicchiere, spesso è insostenibile tanta solerzia. Per non parlare della fretta di portarti il conto: volevo fare ancora due chiacchiere al tavolo, perché diavolo vuoi cacciarmi, diamine?
4) La grande integrazione. Nelle grandi città che ho visitato – New York, Boston, Washington e Chicago – ho visto tutte le razze ed etnie in quasi tutte le posizioni sociali immaginabili. Stando qualche minuto fuori dall’ingresso di un grande grattacielo si possono notare persone con atteggiamento da capo bianche, nere, asiatiche etc. Contestualmente, a nessuna razza o etnia è risparmiata la povertà.
Il permanente classismo che – nonostante quanto scritto sopra – si percepisce in bar e ristoranti. Al bancone e alla cassa solitamente ci sono i bianchi, a servire ai tavoli bianchi e neri; i “latinos” sono in cucina e alle pulizie.
5) La qualità del giornalismo televisivo. Chiaro, didascalico, incalzante. Il vero giornalista anglosassone si sente bravo se è in grado di farsi capire da tutti, non solo dagli addetti ai lavori. La notizia viene resa comprensibile in ogni suo aspetto, che si tratti dell’ultima condanna a morte o della Siria. In più la trasmissione è del giornalista che dà e toglie la parola all’intervistato e lo incalza se questo non risponde alla domanda.
D’altro canto, le insopportabili pause pubblicitarie. Rete 4 vi sembrerà un paradiso: ogni quattro minuti di trasmissione ve ne sono cinque di pubblicità, è assurdo. Per i nostri parametri è una televisione assolutamente inguardabile.
6) Le possibilità sostanzialmente infinite di praticare sport gratuitamente. Su certi argomenti sono sensibile: gli Stati Uniti sono il paradiso di un maratoneta, in ogni città ci sono decine e decine di km di strade studiati apposta per correre senza preoccuparsi delle macchine. E gli americani ne approfittano: a qualunque ora del giorno e della notte – letteralmente – si incontrano persone di corsa. E le ragazze vanno da sole per i parchi senza alcun problema… E poi nominate uno sport (tennis, baseball, basket, football, calcio, atletica leggera, racquetball, scacchi) e troverete delle strutture pubbliche e gratuite in cui praticare il vostro sport preferito.
La sensazione che se non hai un corpo scolpito, sei immediatamente giudicato un imperfetto.
7) La percezione di grande sicurezza che si ha per le strade del centro delle grandi città. Si vede tanta polizia, a volte una pattuglia ogni due isolati. Questo ti fa sentire tranquillo a qualunque ora.
La sensazione che, usciti dalle zone in cui la polizia è fortemente presente, si è sostanzialmente nella terra di nessuno. Ok, molto fa il vedere serie e film tv a volte esagerati, ma vi assicuro che finire per sbaglio nel South Side di Chicago e rendersi conto di essere gli unici bianchi nell’arco di qualche chilometro fa un po’ effetto.
8) L’incredibile pulizia dei bagni pubblici. Stazioni del treno, della metro, del bus, aeroporti o locali notturni non importa: il restroom sarà mediamente ben pulito. E quando si è in viaggio son cose che si apprezzano assai.
I water americani: per una ragione che mi sfugge negli Stati Uniti le tazze sono di un modello standard ‘con l’acqua dentro’ (perdonatemi ma non so come spiegarlo diversamente). E fa piuttosto schifo, non c’è bisogno di spiegare perché…
9) Il wifi libero: senza roaming internazionale temevo il peggio. Ho un rapporto compulsivo con il mio iPhone (almeno così pensavo prima di questo viaggio, leggi sotto) e l’idea di non poter avere una connessione per giorni era uno degli aspetti che mi preoccupavano di più in questa trasferta. Infatti nel 2009 – quando ero stato in California – il wifi gratuito non era affatto diffuso. Ora invece è disponibile in quasi tutti i locali pubblici, parchi e piazze; il Paradiso, per un freak come me. Persino nei piccoli centri – a me è capitato di avere bisogno di Google Maps in un buco sperduto del New Jersey – si trova la connessione gratuita in un qualche fastfood.
Il rapporto patologico tra americano e smartphone. Come dicevo, io pensavo di essere malato: in realtà sono un dilettante. Il confronto con l’americano medio mi vede perdente su tutta la linea: afferrano regolarmente l’iPhone (o simili) come diretta estensione della loro mano. È una cosa davvero impressionante e un tantino alienante.
10) La possibilità di andare in giro senza contanti. Anche quando dovete pagare un dollaro e cinquanta il caffè, nessuno vi guarda storto se volete farlo con la carta di credito. E se il locale è “cash only” ha al suo interno un ATM, un bancomat dal quale prelevare. E non devo spiegarvi io quanto, viaggiando, sia una pacchia non dover andare in giro con grosse somme di denaro nelle tasche.
La difficoltà di dare il giusto peso al denaro non dovendolo tirare fuori dal portafoglio. Vostra nonna preferisce pagare in contanti perché così sa quanto spende, sempre. E ha ragione.
11) Il fatto che in qualunque locale i buttafuori non guardino in faccia a nessuno (certo, se volete andare a ballare camicia e pantaloni lunghi sono obbligatori, ma solo nelle discoteche; altrimenti, potrete essere anche in ciabatte e nessuno vi dirà nulla). Semplicemente, ci si mette in fila e prima o poi si entra. Niente scene di “amici di amici” che entrano subito mentre voi aspettate, soprattutto niente selezione del bouncer a cui non piacciono le vostre scarpe…
L’ossessione per il documento. Come sapete, negli Stati Uniti non si può vendere alcolici a chi non abbia compiuto 21 anni (e pare che siano molto severe le pene per chi viola questa regola). E fin qui tutto bene, ma cribbio!, un po’ di criterio! Non mi danno del ventunenne da quando ho diciotto anni, sembro più vecchio persino a mia madre, rilassatevi. E invece no: se credete che siano noiosi i controlli per entrare negli Stati Uniti è perché non avete mai ordinato una birra a New York.
12) E infine l’ultima cosa che, credo, vale solo nelle grandi città – nei piccoli centri credo sia tutta un’altra storia. Potete vestirvi e atteggiarvi come volete: riempirvi di piercing o tatuaggi, essere elegantissimi o trasandati, cantare per strada o correre come dei disperati. Nessuno si stupirà, un cittadino di New York o Chicago ha già visto di tutto e non si stupisce di niente. Che ci sia la donna più bella del mondo o il barbone più malconcio, l’americano tirerà dritto per la sua strada. Da un lato questa cosa dà sollievo perché potete, per esempio, decidere di prendere la metro in tenuta da corsa senza dover avere la sensazione di sentirvi gli sguardi stupiti e giudicanti degli altri avventori addosso. Ma…

… ma dall’altro lato questo aspetto è inquietante. In “Collateral” il personaggio di Tom Cruise dice – riferendosi a fatti realmente accaduti – che se una persona muore sulla metro di Los Angeles ci vogliono giorni prima che qualcuno se ne accorga. Ecco, non credo sia poi tanto esagerata come affermazione.
Domenico Cerabona
@DomeCerabona