Quarant’anni fa, l’ultimo uomo sulla luna. E domani, Marte

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti

Giacomo Leopardi, Alla luna

fasi lunari

Quarant’anni fa, esattamente alle 5:40, Eugene Cernan risaliva la scaletta che lo portava sul modulo Challenger, ponendo così l’ultima impronta umana sul polveroso e grigio suolo lunare. Dopo di lui nessun altro uomo ha messo più piede sul nostro satellite: l’Apollo 17 fu l’ultima missione che portò degli uomini sul corpo celeste per noi più raggiungibile.

Dallo storico 20 luglio 1969 erano appena passati 3 anni e mezzo, ma il progetto venne chiuso, cancellando le già programmate missioni Apollo 18, 19 e 20. C’è da annotare che qualche teorico del complotto ha detto che non siamo mai scesi sulla Luna – falso; altri complottisti riferiscono delle missioni Apollo 18, 19 e 20 come missioni “segrete”, ma questa è un’altra storia.

Da quel 1972 solo più parole al vento di qualche politico, poi niente più. Anche l’ambizioso progetto di mandare un equipaggio su Marte sta morendo lentamente, schiacciato dai costi e dai tagli alla NASA. Ma come è stato possibile mandare un uomo sulla Luna?

Di certo è stata la più grande impresa scientifica messa in moto, seconda forse solo al progetto Manhattan. Qualcosa che forse solo un paese era in grado di fare, gli USA: dopo lo smacco prima dello Sputnik e poi di Jury Gagarin, l’orgoglio americano si ingegnò per creare il più potente razzo mai costruito nella storia, il Saturno V, che uscì dalla geniale mente di Wernher Von Braun. Von Braun nella Seconda Guerra Mondiale serviva il suo Paese, la Germania nazista: fu lui a inventare le temibili V2, razzi che ferirono Londra negli ultimi giorni della guerra. Gli inglesi avrebbero voluto impiccarlo, gli americani furono più benevoli e lo presero con loro.

Il Saturno V era alto 110 metri e pesava più di 3.000 tonnellate, con tre stadi e una spinta di 5 meganewton (una misura impressionante). Con tanta voglia di riscatto, dopo appena sette anni dall’impresa di Gagarin (e con altrettanta follia: il processore che controllava tutto arrivava al massimo a 2.048 MHz, con una RAM che non superava i 64 kB. Oggi chiunque ha un computer più potente di quello in casa) la NASA portò Neil Armstrong a pronunciare la frase “Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità” del 20 luglio 1969.

Il passo successivo avrebbe dovuto essere Marte, ma rimase nel cassetto e440035_marte nella mente di Von Braun, oltre che nella filmografia di Hollywood (degni di nota “Mission to Mars”, l’americanata “Atto di Forza” con Arnold Schwarzenegger e la bellissima parodia “Fascisti su Marte”, di Corrado Guzzanti). Il viaggio sulla Luna, infatti, data la grande vicinanza durava solo 4-5 giorni, mentre per Marte ci sarebbero voluti 2-3 anni: serviva quindi una navicella più grossa per scorte alimentari e carburante, ed il tutto a quel tempo sembrava un’ impresa impossibile.

Adesso, invece, con l’avvento delle nuove tecnologie Marte non è più un’utopia. Manca la volontà politica. Se prima la conquista della Luna era un pretesto politico per riaffermare la superiorità tecnologica sull’Unione Sovietica, adesso gli Stati Uniti non hanno più ragioni per imbarcarsi in una nuova impresa spaziale, né per tornare sulla Luna, né piantare la bandiera a stelle e strisce su Marte. A meno che…

A meno che la Cina non voglia imbarcarsi in questa impresa, allora gli USA sarebbero costretti – più per prestigio e orgoglio che per scienza – a tentare di vincere anche questa nuova corsa allo spazio. George W. Bush nel 2004, temendo che la Cina avesse fatto partire un piano per portare degli uomini su Marte, diede il via al programma Vision for Space Exploration, finalizzato a portare il primo uomo sul pianeta rosso entro il 2015. Il programma, però, è stato tagliato da Obama (i democratici non portano fortuna alle imprese spaziali, tutti gli allunaggi furono fatti durante l’amministrazione Nixon…).

Quello che è certo è che volenti o nolenti dovremo andare su Marte: se non sarà per la scienza, probabilmente – in un futuro lontano – sarà perché sulla Terra non ci stiamo tutti. Come disse il padre della missilistica, Konstantin Tsiolkovski, “La Terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere sempre in una culla”.

Alessandro Sabatino

@twitTagli

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