«Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»
Come ogni americano che si rispetti, Alan Friedman ha violato e reso espressione di massa un pezzo di poesia italiana. E così, tempo di un libro pubblicato Rizzoli e di qualche comparsata in tivù, il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è diventato il ‘Ghettopaeddi’ (copyright Pierluigi Battista) di Alan Friedman.
Eppure intorno a me io vedo pochi gattopardi e molte iene e sciacalletti (per continuare nell’iconografia del romanziere siciliano).
Uno di questi ha 41 anni ed è nato a Melfi. Laurea in filosofia, professore all’UniSa, segretario provinciale dei DS di Salerno e infine, alle scorse elezioni, deputato.
Alfredo D’Attorre – di lui stiamo parlando – sa che finché va tutto bene, finché il mare è liscio come l’olio, deve tenere un basso profilo. Sa anche però, che quando comincia ad alzarsi la brezza del cambiamento, egli deve fare la propria parte. In prima fila. Contro.
D’Attorre è anche perfettamente cosciente del fatto che l’apparato anti-cambiamento ha struttura verticale, e che su di lui poggiano le forti zampe molti gattopardi, che si espongono solo in un secondo momento, quando quella brezza diventa vento.
Questo è il suo momento: D’Attorre, che fino a ieri ha seguito il consiglio epicureo del “vivi nascosto”, non solo guadagnerà il cenno di assenso dei gattopardi, ma anche qualche menzione su testate nazionali.
E quindi è sua la prima voce a levarsi avverso l’incontro Renzi-Berlusconi, battendo sul tempo uno stupito Stefano Fassina che, per diritti d’anzianità, pensava spettasse a lui la prima critica al segretario nazionale.
E quindi è sua la prima voce, ancora una volta, – bel record per chi fino a ieri l’altro non si era mai sentito – a levarsi, possente scudo, tra le intimidazioni di Renzi e il virgineo Cuperlo.
E quindi è suo l’emendamento, depositato ieri, che propone di applicare l’Italicum alla sola Camera, tralasciando – o meglio, dando per scontata – l’abolizione del Senato; la parola d’ordine è ‘rimandare’, e per ora pare più forte di quella ‘stretta finale’ di cui parla Renzi.
Stefano Ceccanti, al Foglio, definisce l’emendamento “un periodo ipotetico dell’impossibilità”; Roberto Giacchetti, che sperava con Renzi Premier di poter abbandonare l’ormai periodica pratica del digiuno – pratica, peraltro, ormai abusata – si affida a tweet disperati (‘Riforma solo x Camera non ha senso spero @matteorenzi non molli. I frenatori sempre al lavoro temo che oggi non faremo un solo voto‘; ed anche ‘Ripeto: quelli che non vogliono cambiare legge elettorale sono tanti, si agitano molto, marciano separati ma colpiscono insieme. Sarà dura’ sono solo alcuni‘).
Piova o splenda il sole, D’Attorre non è turbato dalle voci che si levano contro l’illogicità dell’emendamento. Il suo è un calcolo: meglio bruciarsi in un colpo solo che spegnersi lentamente, diceva quel tale.
Francesco Cottafavi
@FCPCottafavi