Qualche domanda a Prandelli

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Diamo pure a Cesare quel che è di Cesare: la rifondazione sulla Waterloo sudafricana dopo il ritorno bonapartistico di Lippi; la valorizzazione e la cementazione del gruppo; la sapiente cura nel trattare quel mistero della psicanalisi che è Balotelli; l’affermazione di un codice etico di valori che vanno ben al di là dello sport; l’aver risuscitato nei tifosi l’orgoglio per la maglia azzurra (vedasi l’epica partita contro la Germania agli Europei).
Insomma, se l’Italia calcistica (e non solo) necessitasse di un uomo di specchiata onestà per sponsorizzarsi all’estero, Prandelli sarebbe un candidato perfetto.

Tuttavia, terminati i dovuti elogi, c’è qualcosa nella recente gestione Prandelli che non torna, e anche chi non ha l’orecchio attento non può non aver udito qualche allarmante scricchiolio nella costruzione così faticosamente edificata dal nostro c.t.
Proviamo a esaminarne le crepe punto per punto. 

I RISULTATI – Fra il 2013 e il 2014 l’Italia ha vinto nei tempi regolamentari appena 6 partite delle 19 giocate (di cui 2 con le non certo irresistibili Malta e San Marino).
Ha poi subito ben 26 reti, riuscendo a rimanere con la porta inviolata solo in quattro occasioni (due, per l’appunto, con Malta e San Marino).
Se un filotto di risultati così poco lusinghiero è passato quasi inosservato, è soprattutto grazie alla qualificazione mondiale ottenuta con largo anticipo, anche se poi quasi vanificata dagli scoraggianti pareggi con Danimarca e Armenia che ci hanno condannato all’esclusione dalle teste di serie nel sorteggio di Brasile 2014.

È pur vero che storicamente la nazionale non ha mai brillato né nelle gare di qualificazione né, tantomeno, nelle amichevoli, spesso prese sottogamba, e che ci ha abituati a prestazioni di caratura superiore nelle partite che contano. Ma la striscia negativa è di quelle che preoccupano.
A questo punto, il timore è che il livello della nazionale sia proprio quello espresso nell’ultimo anno, ben sintetizzato dalle sconfitte senza appello contro il Brasile nella Confederations Cup e contro la Spagna in marzo.

Qual è, quindi, l’obiettivo dell’Italia ai Mondiali? Superare i gironi? Raggiungere i quarti? Ottenere la vittoria finale?
Precisarlo meglio, senza trincerarsi nel banale slogan del “Ce la possiamo giocare con tutti”, che spesso non è altro che la spocchia dei mediocri (nel senso latino del termine), potrebbe aiutare a ridefinire o, perché no?, a ridimensionare le aspettative dei tifosi e, di conseguenza, a ridurre le pressioni sulla squadra. 

I TERZINI – Se da un lato la perforabilità della difesa si può attribuire allo scarso filtro del centrocampo, imbottito di registi e incursori, o all’eccessiva rotazione dei centrali di difesa (se mancano due fra Barzagli, Bonucci e Chiellini, il gol è assicurato), dall’altro lato, però, si può anche ricondurre alla crisi di un ruolo in cui noi italiani eravamo tradizionalmente ferrati: il terzino.

A destra Maggio e Abate si sono spartiti la fascia con prestazioni altalenanti, mentre a sinistra il c.t. non è riuscito a scovare un’alternativa valida a De Sciglio in mezzo ai vari Criscito, Antonelli, Pasqual e Balzaretti.
A peggiorare le cose, si sono messi di mezzo l’infortunio di Maggio (che, ad ogni modo, non ha mai nascosto alcune lacune in copertura) e la progressiva esclusione dai titolari dei due milanisti (in particolare Abate, che da dicembre ha disputato appena 7 gare da titolare).
Così Prandelli si è affrettato a chiamare l’oriundo Romulo, cadendo però in una palese contraddizione: nel Verona l’italo-brasiliano ha fatto sfracelli da mezzala destra, non da terzino.
Per maggiori informazioni sulla resa di Romulo da difensore basta chiedere ai tifosi della Fiorentina.

Non si spiega, dunque, il ritardo con cui è stato convocato il granata Darmian, che ha da tempo dato prova di sicura affidabilità, persino a sinistra, ma su cui adesso pesa l’incognita del mancato esordio in azzurro. Sulla corsia mancina, in caso di emergenze, potrebbe invece essere il caso di chiedere gli straordinari a Chiellini.
Quello dei terzini, insomma, è un rebus di complicata soluzione. 

L’ATTACCO – In questo reparto sono sei i posti a disposizione. Balotelli e Cerci a parte, Prandelli ripone cieca fiducia in Gilardino, che ha dalla sua una lunga esperienza internazionale.

Tuttavia Gilardino, classico attaccante che staziona oziosamente in area, è poco funzionale nell’organizzazione tattica di una squadra che non arriva quasi mai a crossare sul fondo, se non con i terzini (che, oltretutto, come abbiamo sottolineato, hanno già le loro grane da risolvere).
Il rischio, quindi, è di vederlo emarginarsi dal gioco, un po’ come accaduto ad altre due punte centrali come Matri e Pazzini nel Milan. 
Inoltre, se lo scopo è quello di disporre di una torre da lanciare a partita in corso per l’assedio all’area avversaria, il nome giusto sembra piuttosto quello di Toni, fisicamente molto più presente di Gilardino e sorprendentemente rigenerato nell’Hellas.

Perché, infine, rinunciare a uno fra Immobile e Destro, da settimane in ballottaggio l’uno contro l’altro, e non portarli entrambi in Brasile?
Hanno dimostrato di essere attaccanti completi e versatili, che ben si sposerebbero con l’assetto di gioco della nazionale. 

IL MODULO – Difesa a 4 e centrocampo a 3 sono sempre state le certezze di Prandelli, con l’unica variante del reparto offensivo, spesso costituito da una sola punta (Balotelli) appoggiata da due trequartisti (in genere Candreva, Giaccherini o Diamanti).
L’exploit di Rossi alla Fiorentina avrebbe dovuto garantire un partner d’attacco a Balotelli con l’arretramento di un suggeritore alle loro spalle.

Ora, però, queste certezze sono crollate. Rossi si è infortunato e tornerà giusto in tempo per i Mondiali, ma non si sa in quali condizioni.
Balotelli si sta sempre più avvitando su stesso.
Giaccherini è stato retrocesso a riserva nel Sunderland (non il Real Madrid), mentre Diamanti è emigrato nel poco competitivo campionato cinese: confidare ancora su di loro per un posto da titolare è davvero poco credibile.

E qui vengono alla luce tutti i limiti tecnico-tattici della nazionale. Privato dei suoi jolly e dei suoi terminali offensivi, Prandelli rischia di dover rivedere, a poche settimane dall’inizio della manifestazione, tutto l’impianto di gioco della sua squadra. 

Per quale ragione non si è perseguita una maggiore sperimentazione tattica che consentisse un piano d’emergenza? Contro la Spagna il c.t. ha usato il 4-3-3, già provato spurio quando El Shaarawy era ancora rilevabile dai radar, ma ha prodotto l’esiguità di 3 tiri in porta.
Inoltre, quando si parla di 4-3-3, non si può fare a meno di aprire una piaga dolorosa del calcio italiano, da anni a corto di ali capaci di saltare l’uomo.
Cerci e Candreva sono gli unici esemplari rimasti: sono francamente un po’ poco per puntare su questo sistema di gioco, tenendo conto che le altre nazionali in quel ruolo dispongono di dribblatori e velocisti di razza, come Di Maria, Ribery, Pedro, Navas, Goetze, Neymar, Robben, o –  per limitarci ai nostri avversari nel girone – Sturridge, Walcott, Sterling, Welbeck.
Il solo Cerci può reggere il confronto, non di sicuro Candreva, deludente contro le furie rosse e i cui 12 gol in campionato sono stati finalizzati per metà su rigore.
Una parentesi a parte meriterebbe il talentuoso Insigne, che pare tuttavia destinato a rimanere a casa.

Secondo indiscrezioni, Prandelli starebbe studiando il ripescaggio di Cassano nel ruolo di “falso nueve”, forse per non rinunciare al suo originario schema di gioco.
Sarebbe una mossa coraggiosa e azzardata: probabilmente troppo, così a ridosso del torneo. Più verosimile è invece il ritorno al cosiddetto “rombo rotante di centrocampo”, con quattro palleggiatori (Pirlo, De Rossi, Marchisio, Montolivo, o Thiago Motta) che si alternano nelle vesti di suggeritore per gli attaccanti.
Risultò vincente agli Europei, ma presenta diversi svantaggi:

  • costringe a turno uno dei centrocampisti a snaturare le proprie caratteristiche; 
  • rallenta i ritmi di gioco, perché infoltisce la squadra di eleganti registi poco propensi alla velocità; 
  • sacrifica un mediano aggressivo, capace di mordere gli avversari, sull’altare del possesso palla (il che, come si è visto, diventa autolesionistico se di fronte hai la Spagna o nazionali più tecniche); 
  • abdica completamente alla spinta sulle fasce. 

In buona sostanza, il rombo rotante funziona solo se i quattro centrocampisti corrono e sono in perfetta forma, ma nel caldo amazzonico del Brasile sperarlo è utopia.

A questo punto viene da chiedersi perché Prandelli non abbia mai insistito sul modulo più diffuso nel calcio italiano, il 3-5-2. Così facendo, potrebbe sfruttare gli automatismi della seconda miglior difesa del campionato (Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini), riportare Maggio esterno di centrocampo, posizione in cui dà il meglio, e mettere De Sciglio sulla sinistra.
Potrebbe poi, nel mezzo, replicare la trinità juventina con De Rossi al posto di Vidal/Pogba, e davanti affidarsi al collaudato duo torinista Cerci-Immobile, miglior coppia 2013-14 e anch’essi ben integrati nel modulo (con Rossi e Balotelli pronti a rilevarli se dovessero tornare ai livelli internazionali che li hanno consacrati).
Il 3-5-2 non suscita certo l’entusiasmo delle folle, ma è indubbiamente pratico ed è forse la soluzione più a portata di mano a poche settimane dal Brasile.

Jacopo Di Miceli
@twitTagli

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