Parlare di Primo Levi il 27 gennaio apparirà a qualcuno come scontato, banale: eppure, a mio parere, non lo è affatto. Innanzi tutto perché la memorialistica è un argomento che rischia costantemente di rivestire il ruolo di Cenerentola del programma curricolare di italiano, per questioni di tempo, di contingenza, di miopia; ogni occasione in più per soffermarsi sull’argomento non deve quindi essere sprecata.
In secondo luogo, perché Primo Levi non è mai banale. Si badi bene che non voglio sostenere qui ciò che è (o dovrebbe essere) condiviso da tutti, cioè che la Shoa, e più in generale l’immensa mattanza avvenuta nei Lager nazisti mentre infuriava la seconda guerra mondiale, non possano essere in assoluto considerati eventi banali; ciò che mi preme sottolineare è la straordinaria ricchezza di Primo Levi, dell’uomo Primo Levi.
Un ragazzo, prima di tutto, un neolaureato, impacciato con le ragazze, appassionato di montagna e della materia che sarebbe stata l’oggetto del suo mestiere di una vita, il chimico. Un partigiano, quindi un coraggioso. Ma un partigiano incerto e sprovveduto, tanto da essere catturato, senza aver mai sparato un colpo, da chi la guerra la conosceva ormai da anni. Un ebreo. Laico, piuttosto lontano dalla vita della comunità israelitica, come migliaia di altri uomini e donne ”scoprì” di essere ebreo (o zingaro, omosessuale, testimone di Geova, malato mentale, polacco, russo, cecoslovacco eccetera) attraverso le conseguenze di questa condizione: le leggi razziali, la difficoltà a trovare un lavoro, la deportazione.
Un prigioniero ebreo ad Auschwitz, anus mundi. Sopravvissuto grazie ad una buona dose di fortuna e alla capacità non comune di rimanere lucido e presente a sé stesso quando tutto, attorno a lui, pareva spingerlo verso la pazzia, verso la resa. Un testimone eccezionale, preciso, misurato e pacato nel ragionamento e nell’ esposizione, mai retorico, né autocommiserante, né accusatore superbo; ma anche mai neutrale, fermo nelle proprie convinzioni, prima fra tutte quella che la differenza fra vittime e carnefici non si può colmare, nonostante le mille sfumature della “zona grigia”. Un narratore senza pari, capace di raccontare gli accadimenti più disparati di una vita densa con una maestria con pochissimi eguali nel panorama letterario italiano; ma anche uno scrittore originale e versatile, che seppe passare dalla memorialistica ai racconti fantastici, dalla descrizione del lavoro al romanzo storico, dalla poesia al saggio.
Decisamente un uomo non banale.
Stefano Mongilardi
@twitTagli
Leggi la seconda parte: Primo Levi: storia di un uomo non banale/2